La scuola spolpata: il bilancio di vent'anni di riforme neoliberiste
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- Categoria: Istruzione e Formazione Civica
- Pubblicato: Giovedì, 21 Marzo 2019 22:23
- Postato da Patrizia Scanu
Era il lontano 1999. Entrava in vigore la famosa legge n.59, che riformava la Pubblica amministrazione e introduceva anche l'autonomia scolastica, poi realizzata con il D.P.R. n. 275/1999. Vedeva la luce il Preside-Dirigente e le scuole acquisivano personalità giuridica. Possiamo collocare qui il punto di partenza di un percorso riformatore che, attraverso diversi governi, di centro-destra e di centro-sinistra, porta la scuola italiana al punto in cui si trova adesso.
In questi 20 anni, nessuna riforma complessiva è stata realizzata. Solo una serie di interventi slegati fra loro, ma accomunati tutti da un unico fil rouge: impoverire la scuola, togliendole mezzi, ore, risorse umane, qualità; metterla in concorrenza con l'istruzione privata, orientare la didattica all'inserimento nel mondo del lavoro e alle richieste delle aziende, anziché alla formazione del cittadino consapevole; mettere ai margini la funzione emancipante della scuola, prevista dalla Costituzione, svilire il ruolo sociale dei docenti, degradati da professionisti preparati e autonomi, come li intende la Costituzione, a impiegati obbedienti e proletarizzati, anche attraverso una politica di assunzioni per lo meno discutibile e a retribuzioni inadeguate all'importanza del loro ruolo sociale.
Attraverso le riforme Moratti e Gelmini e infine con la Buona Scuola di Renzi siamo passati dalla scuola depositaria di cultura e promotrice di conoscenza e pensiero critico alla scuola smart, luccicante di tecnologie all'avanguardia, di progetti di ogni genere e di metodi di insegnamento accattivanti, ma sempre più priva di contenuti essenziali, priva di mezzi e di locali adeguati, attentamente depurata da ogni sapere capace di favorire la consapevolezza critica, la comprensione del presente, l'attitudine a pensare in modo complesso. Una scuola che istruisce senza educare e che parla il linguaggio dell'economia, anziché quello dei valori civili di solidarietà, partecipazione, democrazia, bene comune, libertà di pensiero.