News dal Dipartimento Geopolitica

Programma MR per la Difesa. Revisione 2021.


Programma MR per la Difesa.

Revisione 2021.
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 Trascriviamo la puntata di GeD sulla revisione 2021 del programma MR sulla Difesa. qui il link   https://youtu.be/Y7vAIPNk5Lo

In questo documento non ci occuperemo del programma dettagliato di MR, quinquennale per la difesa in quanto esso è stato già scritto nel 2020. (si rimanda quindi ad esso per una sua disamina dettagliata), in quanto riteniamo pleonastici e ridondanti dei semplici copia e incolla. Verranno quindi affrontati i cambiamenti di scenario, gli adeguamenti rispetto al nuovo bilancio della difesa italiano, le novità in tal senso occorse. Verrà anche comparato quello che è stato proposto e quello che è stato realizzato. In questo ultimo anno lo scenario è cambiato notevolmente a causa del Covid, e, anche se l’Italiano medio non se ne rende conto, concentrato com’è sul virus, la situazione internazionale si è notevolmente aggravata.

Premessa: evoluzione del quadro geostrategico

Il quadro internazionale nell’ottica della politica del Governo Draghi.

Degno di nota il fatto che nel discorso di insediamento del PdC Mario Draghi si faccia cenno al Mediterraneo Allargato, (come da noi più volte enfatizzato) concetto uscito dai circuiti della geopolitica e degli addetti ai lavori per avere un risalto istituzionale ai massimi livelli, con particolare attenzione alla Libia, ma anche ai Balcani, area di fondamentale importanza per i nostri scambi commerciali, che rivestono un rilievo assoluto, e non solo in campo geopolitico e strategico, essendo in molti casi questi paesi il primo importatore, ponendoci, caso unico in Europa, davanti alla Germania. Particolare attenzione viene ribadita anche al Mediterraneo Orientale ed ai rapporti da consolidare ulteriormente con Grecia, Malta e Cipro. Politiche da sempre auspicate, promosse e diffuse da MR. Condivisibile anche l’auspicio di alimentare i meccanismi di dialogo con la Federazione Russa, pur rimanendo fedeli alle alleanze tradizionali. Questo, a nostro avviso, in un’ottica di ponte tra Occidente e Russia al fine di un avvicinamento che mitighi le tensioni internazionali e favorisca il ristabilimento e consolidamento dei diritti umani e democratici all’interno della stessa Federazione, al fine di disinnescare le aree di attrito. In sintesi MR appoggia tali politiche.

MR ribadisce anche il quadro delle relazioni politiche e internazionali che vede al primo posto il rapporto con gli Stati Uniti, pur in un’auspicabilmente migliorata e più equilibrata ottica di rispetto per le esigenze e priorità reciproche, non sempre avvenuto, più per inadeguatezza della classe politica nostrana che dell’alleato. Di seguito, nell’ordine, Nato, Unione Europea, ONU, rapporti bilaterali con paesi non facenti parte di alleanze internazionali in cui siamo compresi.

Gli stanziamenti governativi per la Funzione Difesa rispetto al 2021 vs le proposte MR.

Il totale delle spese Difesa in senso lato (compresi oneri non direttamente connessi, Carabinieri ecc) è di 29.542 mln di euro

Totale spese militari in senso stretto 22.347 mln di euro (MiSE Funzione Difesa, MEF, 500 mln CC in missioni militari)

Totale Funzione difesa 16.916 mln di euro.

Vediamo in una tabella le spese 2020 quelle 2021 e la proposta MR

 

2020

2021

Differenza

Proposta MR

Funzione Difesa

15452

16916

+1464

16.100 (+648)

Fondi MiSE

2944

3448

+504

4044 (+1100)

Fondi MEF

1308

1483

+175

1483

totale

19.704

21847

+2143

21627 (+1923)

Convenzionalmente si sono messi gli stessi fondi per il MEF in quanto questi sono gli oneri inerenti le missioni militari all’estero pianificate, quindi solo Min. DIF. può sapere quanto sarà la spesa e cosa esattamente pianificare.

L’aumento della spesa per la difesa è il più consistente probabilmente del nuovo millennio, e ha il triplice scopo di arrivare al raggiungimento della spesa media europea sul PIL per la difesa, all’incremento degli investimenti industriali della difesa che, più di qualunque altra voce ha il merito di aumentare il PIL (per ogni euro investito c’è un ritorno di 2,5-3,5 euro)

Come si vede la proposta di aumento di spesa è molto simile, MR proponeva circa 200 mln in meno, ma la ripartizione delle spese è diversa, in quanto il Dipartimento GeD di MR privilegiava il MiSE, quindi gli investimenti tecnologici e industriali per la Difesa, per, appunto, un aumento più rapido del PIL, coniugato a una più celere sostituzione degli armamenti più obsoleti con altri più innovativi. Infatti GeD proponeva l’avvio di una legge terrestre e una aeronautica di un importo decennale complessivo di 11 mld (1,1 mld/anno) per l’adeguamento e potenziamento dei mezzi di queste due forze armate.  L’altra differenza fondamentale è prospettica, cioè GeD propone un incremento costante delle spese per la Difesa fino al 2025 con l’obiettivo di arrivare a 18,3 mld di euro di Funzione Difesa e il lancio per il prossimo anno di due ulteriori leggi decennali di 10 miliardi totali (1 mld/anno), una navale e una joint inerente programmi comuni tra più forze armate, spazio e dominio cyber, intelligence. Per il momento il Ministero della Difesa per i prossimi anni prevede di non incrementare ulteriormente gli stanziamenti, anzi, di diminuirli, anche se impercettibilmente.

Alla luce comunque degli adeguamenti del bilancio 2021 MR riformula così gli stanziamenti dal 2022 al 2024 (gli incrementi sono intesi come arrotondati e soggetti a moderate variazioni a seconda delle modifiche che sarebbero apportate in sede di pianificazione bilancio del Ministero stesso).

2022 Bilancio Funzione difesa invariato a 16.916 mln e avvio delle due leggi sopraddette per un importo di 1 mld/anno per 10 anni. S’intende che la legge aeronautica ed terrestre andrebbe approvata già quest’anno per divenire operativa il prossimo.

2023 Bilancio Funzione Difesa a 17,3 mld di euro con un aumento di 384 mln di euro

2024 Bilancio Funzione Difesa a 18 mld di euro per un incremento di 700 mln di euro

2025 Bilancio Funzione Difesa a 18,3 mld di euro con un incremento di circa 300 mln di euro.

Al 2025 arriveremo così a un aumento di 3,5 mld di euro rispetto ai valori attuali, assumendo una spesa per le missioni all’estero (fondi MEF) costante. Avremo così una spesa dell’incremento della Funzione Difesa devoluto soprattutto all’acquisizione di armamenti esteri di cui non ci sia un’equivalente nazionale all’altezza, e all’aumento dei fondi per l’esercizio (addestramento, manutenzione ed efficientamento mezzi) e i fondi MiSE devoluti allo sviluppo di sistemi nazionali o multinazionali ad alta tecnologia ed alto valore aggiunto.   Visto l’aumento di oltre due miliardi avvenuto in un solo anno, queste non ci sembrano cifre insopportabili ed elevate, grazie anche al supporto che queste daranno alla sicurezza del Paese, ma anche all’incremento di PIL di occupazione, e di patrimonio tecnologico acquisito, quindi di “ranking” a livello mondiale. Fondamentale è anche mantenere una certa indipendenza tecnologica nella difesa e la partecipazione significativa, possibilmente alla pari, o comunque molto significativa, nei programmi multinazionali.

Sviluppi e differenze e tendenze 2021

 

MR aveva proposto alcuni interventi urgenti ed altri necessari per l’adeguamento delle Forze Armate. Alcuni sono entrati nella programmazione della Difesa e nel conseguente stanziamento, molti altri no.

Finanziamenti urgenti approvati e presenti nel programma MR.

  • Inizio stanziamenti per i caccia antiaerei DDX per la Marina

Programmi urgenti non approvati

Acquisto di armi antidrone e di radar per la scoperta di droni a bassa quota. Le operazioni in Libia e nel Caucaso hanno evidenziato l’importanza dei droni anche come game charger in certe situazioni e comunque come arma decisamente insidiosa e potenzialmente foriera di provocare seri danni. MR ha proposto l’acquisizione di sistemi AA del tipo Draco (o derivati simili) armati con cannone antiaereo da 76 mm.

Acquisizione di aerei MPA antisommergibili.

Altri programmi proposti da MR ed approvati nel 2021

Aumento delle blindo Centauro 2 previste da 136 a 150. GeD propone però un aumento a 190-200

Finanziamento e inizio lavori per ulteriori 2 (+ 2 in opzione) sottomarini tipo U212. MR però propone un’accelerazione delle consegne, previste per i primi due nel 2027 e 2029, al 2026 e 2027 con le ulteriori opzioni al 2028 e 2029. Con un ulteriore incremento di numero e consegne nel 2031 2032 2034 e 2035 per portare il totale dei sottomarini prima a 10 e poi a 12 in tutto, venendo in parte incontro alle esigenze espresse dalla Marina (13-14)

Aumento delle dotazioni di aerei CAEW e Sigint portati a un totale previsto di 10 complessivi. MR ne proponeva il raddoppio a 8 totali.

Inizio finanziamenti aereo Tempest.

Previsione di aggiornamento Tr2 e TR3 del Typhoon. Questo aggiornamento, da quanto si è capito, è stato inserito nello sviluppo del Tempest come test e sviluppo della stessa nuova piattaforma.

Tutti gli altri programmi proposti da MR non sono stati inseriti nello sviluppo di programmazione. Per i dettagli si rimanda alla versione precedente del Documento di GeD. Si desidera però sottolineare la necessità di alcuni dei provvedimenti proposti, come

  • La riduzione del personale non più “combat” o strettamente operativo con gli incentivi precedentemente descritti e la contemporanea immissione di elementi giovani per portare gli effettivi a 160.000 uomini.
  • La creazione di una riserva
  • L’inizio di programmazione della sostituzione parziale dei Typhoon Tr1
  • L’aumento di 12 unità del F35
  • L’acquisizione di ulteriori radar antibatteria e antidroni
  • L’acquisizione di veicoli anfibi trasporto truppe (però già entrati nei desiderata della Difesa e probabilmente prossimi alla programmazione di acquisizione)
  • L’inizio della programmazione per un potenziamento della componente di trasporto aereo.
  • L’acquisizione di 4 (+ 2 opzioni) di elicotteri pesanti CH47 Extended Range.
  • L’acquisizione di  missili navali stand off ma, soprattutto
  • l’aumento delle dotazioni per le tre forze armate, con particolare focus a Marina e Aeronautica.

Nota Finale

L’Esercito tra i desiderata e la programmazione a lungo termine propone la futura acquisizione di 257 MBT, cioè carri principali da battaglia e l’aumento da 2 a 3 brigate pesanti (1 corazzata e 2 meccanizzate) Il Dipartimento GeD di MR è dell’avviso che il focus principale sia il Mediterraneo Allargato, non essendoci ai confini terrestri nemici possibili, circondati come siamo da paesi alleati, ed essendo la minaccia russa oltre che lontana, anche probabilmente sovrastimata, almeno come possibile fonte di invasione profonda dell’Europa Occidentale, come invece era ai tempi dell’Unione Sovietica. Tali desiderata avvengono soprattutto su pressione di ambienti NATO. MR, pur nel rispetto per la professionalità e la competenza dell’Esercito, ritiene che, per esigenze NATO e di supporto a operazioni expeditionary sia auspicabile mantenere la componente organica attuale aumentando al massimo la sua efficienza (che ora è solo teorica visto lo stato di inefficienza della componente corazzata e meccanizzata))ma che questa non debba essere potenziata come pianta organica. Da questo punto di vista un numero di MBT di 180-200 (ma tecnologicamente all’avanguardia) sarebbe più che sufficiente per tali esigenze. A ogni paese NATO le sue peculiarità e la difesa che più gli si confà. Come non si può pretendere che la Polonia ad esempio si doti di caccia lanciamissili o di portaerei, quando ci sono maggiori esigenze, appunto, di componenti corazzate, così non si può pretendere che l’Italia si doti di una eccessiva componente corazzata (rispetto ai bilanci e al bilanciamento delle proprie forze) invece di avere gli strumenti più idonei per difendere le proprie zone d’influenza e di rilevanza strategica, sempre nell’ottica NATO (senza per questo non mettere a disposizione anche una, seppur relativamente ridotta, componente corazzata). In altre parole è inutile sguarnire il fronte Sud per ammassare truppe su quello Nord, o viceversa.  I fondi risparmiati, pur restando nell’ambito dell’Esercito, dovrebbero essere impiegati nel rafforzamento della componente expeditionary e del supporto alla stessa, come appunto i CH47 ER, un maggior numero di elicotteri di scorta e blindo pesanti, il potenziamento della componente aviotrasportata, il mantenimento in efficienza di tutto l’apparato, l’adeguamento delle scorte, l’acquisizione di mezzi per la componente anfibia di EI, radar antibatteria ecc. MR vede invece con estremo favore la rapida sostituzione dei cingolati trasporto truppe Dardo con nuovi IFV anche di progettazione straniera come a esempio gli IFV Lynx tedeschi, ma anche questi in numero inferiore a quelli proposti cioè limitati a circa 280-300 esemplari contro i 400 programmati.  La sostituzione dei Dardo è infatti oltremodo urgente e l’affidamento all’industria nazionale richiederebbe troppo tempo. Ripetiamo, mantenendo questo budget, a nostro avviso, l’Esercito ha altre priorità, aumentando invece, come proposto, il budget della difesa, ma soprattutto approvando la legge per l’Esercito di 5 mld per 10 anni, questi fondi si renderebbero, almeno in parte, disponibili.

Roberto Hechich

Segretario dip. Geopolitica e Difesa.

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Il Programma di MR per la Difesa italiana.

La Difesa Italiana.

Il Programma di MR per la Difesa

Progetto attuativo dei punti programmatici del Movimento Roosevelt.

Spesso i programmi di massima dei vari partiti inerenti le politiche concrete da attuare dai vari Ministeri rimangono tali e non vengono declinati in concreto, così da poter lasciare interpretare gli intenti in maniera anche diametralmente diversa, in maniera da non poter essere smentite alla verifica dei fatti e della realtà. Ottime in campagna elettorale per acquisire consensi da una fetta più vasta di elettori, strategiche, in un eventuale azione governativa per poter alla bisogna virare anche di 180 gradi. Pagine e pagine di documenti che in realtà non dicono niente e fanno intravvedere ben poco di concreto.

Movimento Roosevelt è per l’appunto un movimento meta partitico, che non si presenta alle elezioni, ma che vuole essere stimolo ed esempio per i partiti che via via si succedono al governo.

Movimento Roosevelt ha già pubblicato il programma di quello che vorrebbe sia fatto da un governo realmente efficiente, concreto e al contempo idealista, progressista e social-liberale. Consigliamo di leggere tale documento programmatico.

Ma MR vuole di più, ed evidenziare cosa farebbe se avesse delle responsabilità di governo o se divenisse ispiratore di chi pervenisse a quelle responsabilità.

Ogni dipartimento pubblicherà un programma preciso e concreto, tecnico, di come attuare le politiche enunciate. “Cosa accadrebbe se? O Cosa fareste se?”. Senza ipocrisie e senza timore di venir attaccati o contestati, poiché non abbiamo paura delle nostre idee, né di proporle e sostenerle né di dibatterle, perché sappiamo che sono la proposta migliore, anche se, naturalmente, migliorabile con il supporto di tutte le componenti che volessero misurarsi onestamente e con spirito di collaborazione.

Iniziamo con il Dipartimento Geopolitica e Difesa,  per quanto riguarda la funzione Difesa, in quanto sarebbe troppo lungo accorpare il programma dettagliato  dal punto di vista geopolitico e della politica estera, anche se, naturalmente, lo sviluppo e la gestione dei programmi per la Difesa sono in funzione di una doverosa analisi geopolitica, analisi che comunque sono elaborate e pubblicate sia nel sito di MR sia in GeD 

Programma MR per la Difesa.

Il programma generale di MR per la Difesa consta di 4 punti:

  • Adeguamento e potenziamento delle dotazioni militari per rappresentare un reale deterrente di prevenzione ai conflitti.
  • Adeguamento ed equilibrio tra gli investimenti delle forze armate in funzione al mutato scenario internazionale.
  • Istituzione di una riserva militare ed abrogazione dell’ausiliaria.
  • Salvaguardia dell’eccellenza tecnologica dell’industria italiana nel campo della difesa.

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Report dalla Francia: Il discorso post-covid di Macron e il futuro dei francesi

Il discorso post-covid di Macron e il futuro dei francesi
Articolo di Maria Zei, Responsabile Movimento Roosevelt Francia.

Et voilà, eccoci di nuovo insieme, per darvi un’idea di ciò che succede in Francia, dall’ultima volta che ho scritto, in Aprile. Molte cose sono successe, una su tutte: l’11 maggio, la Francia ha cominciato a riaprire. Prima, dalle zone definite “verdi” (come il sud ovest per esempio, dove alla fine, come in molte regioni italiane, ci son stati pochi morti, pochi spostamenti, un pò di paura), alle zone rosse (come l’est, un pò di nord, l’Ile de France-Parigi e dipartimenti intorno). Adesso, tutta la Francia è verde e, « lupus in fabula », il presidente Emmanuel Macron fa la sua “allocuzione” alla nazione, il 14 giugno 2020 [1].

Allora, cominciamo da lì, che ci farà da “fil rouge” (filo conduttore) per questa cronaca sulla vita in Francia post-covid di questi tempi.

Come al solito (dopo i suoi discorsi), i commenti sono stati spesso del genere “ok, tante belle parole, aspettiamo di vedere i fatti”. Per esempio, Thomas Picketty (economista francese molto conosciuto per i suoi libri di riflessione sul capitalismo e la distribuzione della ricchezza) su Radio France Inter, la mattina del lunedi dopo, a un’ora di grande ascolto [2], diceva che non si poteva continuare ancora così e criticava molto questo parlare del presidente senza che poi nessuno, nemmeno un giornalista criticasse e mettesse in discussione tutte le sue affermazioni o che (gli) rinviasse al mittente tutti i suoi discorsi a sproposito e mezze verità, visto in effetti la reale situazione e gestione del paese, dall’inizio del suo mandato e in particolare in questi mesi di crisi Covid-19.

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Perché non si ripeta più una censura sui social a danno della libertà d'informazione

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Perché non si ripeta più una censura sui social media a danno della libertà d’informazione
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Condividete per cortesia, in maniera da impedire ogni eventuale tentativo di blocco.

“Carceri #Turchia. Questa notte grazie alla legge sull’esecuzione penale è stato rilasciato un membro della criminalità: Alaattin Cakicy, appartenente ai Lupi Grigi. La legge concede la riduzione della pena per 90.000 prigionieri, ma non per i giornalisti, politici dell’opposizione e attivisti per i diritti umani.”

In questo post vedete qualcosa di offensivo? Intimidatorio? Irrispettoso? Un’opinione spregevole? Turpiloquio? Fake new?

Ebbene, per questo post, che non fa altro che riportare una notizia che è un dato di fatto reale e concreto, il profilo Facebook di Mariano Giustino, corrispondente di Radio Radicale da Ankara, è stato bloccato per oltre 40 giorni.

Ora, dopo che la vicenda è stata resa nota e si è diffusa a tutti i livelli, è stato sbloccato.

Facebook si è scusato per l’errore. Ma come si può pensare a un errore perdurato per oltre quaranta giorni, malgrado proteste e sollecitazioni di ogni sorta e ammesso solo quando hanno iniziato ad occuparsi della questione i media maggiori e alcuni parlamentari italiani? Errore che appare ancora meno credibile, poiché non è la prima volta che succede. Sono state censurate almeno due altre pagine che pubblicavano contenuti relativi all’informazione su manifestazioni di sostegno alla causa curda in Siria.

E non si sblocca sicuramente il problema di una censura sempre più strisciante dell’informazione sui social media. Social media che, per l’impatto, appunto, sociale, non possono più definirsi società private, ma un patrimonio pubblico di diffusione, condivisione e democratizzazione dell’informazione, pur con tutte le distorsioni che invariabilmente li minacciano.

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La Tettonica a Zolle applicata all'Europa

LA TETTONICA A ZOLLE APPLICATA ALL'EUROPA
Se non ora quando

Come già scritto in un post precedente https://blog.movimentoroosevelt.com/blog/2329-se-non-ora-quando.html?fbclid=IwAR35Uh2KD55RWHsQkLgzFs3-137 h 01c6etHEFZqN_7nVaJOzZtk0bELZGzVmuCzCpYsY

l'Europa assomiglia sempre più a un insieme di zolle che si scontrano, si sfiorano, si separano, secondo movimenti e cause molto più profonde di esse.
Cresce sempre più il disagio dell'opinione pubblica europea sulle posizioni intransigenti, neoliberiste degli stati dell'Europa del Nord. Anche lo Spiegel, parla di rifiuto tedesco gretto e vigliacco, sempre più esponenti contrari agli eurobond si stanno trasformando in possibilisti e chiedono emissioni da 1000 miliardi, non c'è mai stato un fronte così numeroso tra i paesi europei per l'abbandono delle politiche neoliberiste. Sembra quasi che in fondo molti animi covasse un disagio sempre più profondo per certe politiche e che le adesioni e dichiarazioni di facciata celassero invece la paura di esporsi e di fare il primo passo, paura svanita di fronte a una paura ancor più grande..Paura che però potrebbe tornare se non si alimenta e s'incoraggia tale momento Lo stesso Ministro delle Finanze tedesco ha definito la politica olandese attuale, immonda, dopo che il ministro portoghese aveva definito il premier olandese disgustoso. (linguaggi diplomatici assolutamente fuori dal normale, badate bene, inconcepibili se non di fronte a fratture enormi e inconciliabili, e che un secolo fa avrebbero potuto far scatenare una guerra). Ma, attenzione, non dimentichiamo che spesso Germania e il suo vassallo Olanda, oppure Finlandia hanno giocato al poliziotto buono e a quello cattivo per indurre gli avversari a più miti consigli. La Germania è sincera nella mediazione o è un trucco? E la sessa Francia , che guida al fianco dell'italia il fronte dei governi "antineoliberisti" potrebbe rivelarsi inaffidabile, poiché raggiunti i propri interessi potrebbe abbandonare il campo. Mai fidarsi di Macron che molto spesso fa esattamente l'opposto di quello che dice. Quello che c'è di nuovo, appunto, è la convergenza delle opinioni pubbliche europee, o almeno di una parte molto più consistente che nel passato (e la sua importanza è rilevantissima, perché l'Europa, o si fa dal basso, o non si fa) accompagnata da una Angela Merkel che assomiglia sempre più alla figura del Francesco Giuseppe del 1914, stanca, malata, che sta perdendo la sua lucidità, incapace di adattarsi velocemente alla situazione e al traino di eventi molto più grandi, soprattutto più rapidi delle sue capacità di reazione, tanto da essere esposta a venti di direzioni opposte senza oramai la capacità di incanalarli.

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Macron, La Francia ai tempi del corona

Un'analisi pepata e "dall'interno" della nostra ottima Maria Zei del Dipartimento Geopolitica e Difesa  e nostra "corrispondente" dalla Francia sulla situazione della Francia ai tempi del corona. Solo poche annotazioni. Si stigmatizzava(giustamente) il comportamento di chi in un fuggi fuggi generale scappava da Milano per dirigersi al sud, in un clima che ricordava la scena dell'ultimo elicottero americano che abbandonava il tetto dell'ambasciata a Saigon prima dell'arrivo dei Vietcong. Il presidente Macron aveva solo pochi giorni fa dichiarato che la Francia non avrebbe imitato l'Italia perchè non sarebbe stato necessario (perchè più organizzata?), e che tutti i piani erano predisposti. Ieri, all'annuncio che la Francia avrebbe fatto praticamente come l'Italia, ci sono state alla stazione di Parigi le stesse scene da liberi tutti viste a Milano. Segno che certi stereotipi, da ambedue le direzioni, sono molto duri a morire.
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12/03/2020

Ma in che paese vive il presidente Macron, oramai battezzato da moltissimi francesi “micron” ci si può chiedere legittimamente, ad ascoltare il suo discorso di fine anno : « tutto va bene madama la marchesa nel paese delle meraviglie » [1]. E poi : « si continua a dritto sulla riforma delle pensioni »… come se niente fosse, con il paese che e’ stato in sciopero per un periodo lunghissimo (il più lungo che si ricordi dal ’68 [2]), a vari livelli, riguardando anche professioni che non ti aspetti: avvocati, pompieri, netturbini… Per non parlare del settore ospedaliero che e’ in sciopero da mesi: mancano mezzi, persone, rivalorizzazione dei mestieri e delle difficoltà enormi per permettersi un alloggio decente a prezzi decenti non troppo lontano del posto di lavoro.  

Quelli che hanno scioperato maggiormente (e che se lo sono potuto permettere anche grazie alle collette via  sindacati e crowdfunding) sono stati i trasporti soprattutto, ma la maggior parte dei lavoratori francesi li ha sostenuti e se avesse potuto avrebbe scioperato. Anche qua, come in molti paesi, grazie a delle riforme involutive  di stampo  neoliberista  e con l’avvento della globalizzazione (Nino Galloni, vice presidente di MR, lo spiega bene in dettaglio e storicamente nel suo ultimo libro [3]), il diritto allo sciopero e’ stato rivisto e corretto al ribasso. In queste condizioni, dove si rischia di perdere troppo in stipendio, e’ già qualcosa fare un giorno di sciopero.

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Russia, come considerarla? Minaccia od opportunità?


Una nuva come sempre acuta analisi geopolitica di Emilio Ciardiello, vice segretario del Dipartimento Geopolitica & Difesa sui rapporti tra Italia e Russia

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Cos’è la Russia per noi?

Amica, nemica, avversaria?

Minaccia o opportunità?(o tutt’è due?)

Questa semplice domanda non è di cosi immediata risposta e vale la pena cercare di rispondervi osservando la questione da diverse angolazioni. Innanzitutto cosa si intende esattamente, amica o nemica di chi? Dell’Italia? Degli USA? Dell’Unione Europea? Ed in che termini amica o nemica: strategico-militari, sistemici, culturali, economici?

Tra l’Italia e la Russia si può affermare che non vi sono connaturati motivi di contrasto. Anzi la Russia si presenta come fornitore strategico in campo energetico ed un interessante partner commerciale. I rapporti politico-diplomatici tra i due paesi sono stati storicamente positivi anche durante la guerra fredda e non vi sono dunque particolari ragioni di avvertire, in quanto Italia, la Russia come ostile. Tuttavia in quanto alleato statunitense in seno alla Nato, l’Italia si ritrova di riflesso a rapportarsi con la conflittualità Usa- Russia e con una recente espansione del peso politico della Russia nel Mediterraneo e in Africa del Nord, non privo di potenziali antitesi e contrasti, in un momento storico in cui il paese sembra attraversare un periodo di particolare assenza di una visione globale del suo agire sulla scena internazionale. Presente in varie missioni di pace con gli alleati, l’Italia sembra però non perseguire un suo proprio disegno, corrispondente alla definizione di un interesse nazionale cosi come è stato in altri periodi anche della sua storia repubblicana. Cioè un proprio fine strategico.

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America Latina. Analisi di una realtà complessa

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Un'eccellente analisi di Pietro Beltrame sulla situazione dell'America Latina contesto geopolitico secondario per l'Italia, ma non per questo ininfluente ai principali interessi geopolitici italiani, sicuramente non politically correct, ma proprio per questo precisa, puntuale e che rispecchia un punto di vista reale e competente di chi ha realmente vissuto in quei luoghi.


Frequentemente ascoltiamo da politici e commentatori latino americani (ed europei), di destra e di sinistra, parallelismi semplificati ed espressioni di solidarietà: ha vinto/perso la destra (o la sinistra) li o qui, come vincerà/perderà anche qui !

Niente di più sbagliato. Oggi più che mai la destra e la sinistra in Europa e in Latino America sono distanti: nel modello di paese e sovranità, nei modelli economici, ed anche (in parte) nelle politiche sociali.

Se vi fosse da ambo le parti un minimo di conoscenza della storia e della condizione socio-economica (almeno dell’ultimo secolo) si eviterebbero queste banalizzazioni e semplificazioni fuorvianti che, quando dette da politici influenti, possono provocare incidenti diplomatici e perdite di opportunità da parte degli imprenditori.

E' essenziale tenere in conto che non sempre ciò che è vitale per un popolo nella sua filosofia e nella sua condizione sociale attuale, è altrettanto prioritario in un paese e momento diverso. 

Per questo l'autore considera che misurare con il proprio metro i disagi altrui, può facilmente indurre in errore.

Secondo l'autore ciò dovrebbe essere attentamente pesato anche quando si valuta l'opportunità di giustificare con il "bene altrui", interferenze di un governo su di un altro, che in realtà sono sempre animate da tornaconti economici o strategici.

Tenterò qui un contributo per colmare questo gap di conoscenza, e proverò a farlo in modo riassuntivo, per favorirne la fruizione.

Riunirò quindi prima fatti e fattori comuni, accennerò alle differenze per sommi capi, esporrò alcuni dettagli sulla situazione attuale per alcuni tra i maggiori paesi di questa area, e proporrò delle considerazioni riassuntive.

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Lo strano caso di due nuovissime navi nate italiane che diventano egiziane (forse). Quello che c’è dietro e non ti aspetti.

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Lo strano caso di due nuovissime navi nate italiane che diventano egiziane (forse).

Quello che c’è dietro e non ti aspetti.

Pochi giorni fa è stata varata a Riva Trigoso la fregata Emilio Bianchi, decima e ultima della serie FREMM. Queste fregate sono la spina dorsale della flotta, quelle che devono assicurare la difesa e la scorta di formazioni navali complesse contro attacchi aerei, navali o sottomarini, e che sono coordinate dai cacciatorpediniere che assicurano la difesa aerea estesa. Queste navi sostituiscono le vecchie fregate classe Maestrale, oramai con circa 35 anni di servizio. Vista la situazione sempre più esplosiva (talvolta letteralmente) del Mediterraneo centro orientale, il completamento di questo programma (che il vecchio Ministro della Difesa la Russa voleva ridurre a sei unità) è stato lungimirante e ci assicura, assieme ad altri assetti (nuovi pattugliatori e sommergibili, i caccia su menzionati e le navi tutto ponte porta aeromobili) uno strumento se non proprio adeguato almeno appena sufficiente di deterrenza e di controllo della stabilità di un bacino per noi vitale, essenziale (nel vero senso del termine). Ma, c’è un ma. Dopo la pomposa cerimonia del varo con tanto di madrina, fanfara, discorsi… la nave, assieme alla gemella Spartaco Schergat, rischia di non entrare mai in servizio nella Marina Militare, ma di venir dirottata direttamente alla flotta egiziana. Tra l’altro, ironia della Storia, il nome di queste due navi è in onore di due degli incursori che, con i famosi Maiali il cui nome ufficiale era Siluri a Lenta Corsa, affondarono due corazzate britanniche nel dicembre del 1941 ad Alessandria d’Egitto, probabile porto di destinazione di queste due navi, qualora divenissero egiziane.

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Libia: il posto in prima fila che non c'è più. Tra (dis)onori e oneri (rifiutati)

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Libia: posti in prima fila cercati e tolti, tra (dis)onori, oneri e reticenze

“Dovete scegliere tra la guerra e il disonore, state scegliendo il disonore ed avrete la guerra”. Parafrasando questa frase di Churchill con i tempi grammaticali cambiati (la pronunciò dopo Monaco, a cose fatte) e sostituendo alla prima parola guerra (ma non alla seconda) quello di intervento militare (nessuno vuole entrare in una vera guerra) si può riassumere la condotta italiana di questi ultimi anni in Libia. Le foto che ritraggono il nostro presidente del consiglio a cercare inutilmente un posto in prima fila (probabilmente cercando la targhetta con il suo nome sul pavimento) sono paradigmatiche della (non) considerazione che ha l’Italia nel contesto sia europeo che internazionale. In diplomazia nulla è a caso, anche se sembra casuale.

Tutti a proclamare che la conferenza di Berlino, svoltasi domenica scorsa, ha avuto successo. Ma la guerra riprenderà presto, come prima, o peggio di prima. Tutti i 55 punti (divisi in sei parti) sono stati accettati senza discussione. Appunto, i punti non sono stati discussi perché tutti sanno (fuorché forse l’Italia) che la grande maggioranza di questi non sarà mai implementata e rispettata.

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Intrecci mediterranei (tra i quali rischiamo di rimanere soffocati)

Intrecci mediterranei

(tra i quali rischiamo di rimanere soffocati)
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Per comprendere come si può ancora agire in Libia bisogna prima aver ben chiara la situazione e capire come si è arrivati a questo punto.

Il parlamento turco ha appena approvato il possibile invio di truppe regolari turche il Libia. Per valutare le implicazioni e le conseguenze dell’intervento turco bisogna partire da lontano, dalla Siria.

Le atrocità e i soprusi perpetrati in Siria, sembrano aver poco a che fare con quello che sta accadendo in Libia, eppure non è così.

Per quanto l'Oservatorio sui Diritti non è sempre stato preciso e imparziale, i numeri sono stati grossomodo confermati anche da altre fonti. https://raiawadunia.com/rojava-la-turchia-usa-larma-infame-dello-stupro-di-guerra-contro-le-donne-curde/

https://it.insideover.com/guerra/i-crimini-di-guerra-turchi-nel-nord-est-della-siria.html

e non solo queste citate per brevità.

La maggior parte di queste azioni sono state effettuate non dall'esercito turco regolare, ma da chi fa il lavoro sporco per Erdogan cioè le milizie fondamentaliste islamiche, jihadiste, tra cui Al Nusra (praticamente una costola di Al Qaida) responsabili tra l’altro dell'efferata uccisione di Hevrin Khalaf, la femminista e attivista curda dei diritti civili.

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Alcune osservazioni sull’Area di Libero Scambio Continentale dell’Unione Africana.

Alcune acute osservazioni di Emilio Ciardiello relative sulla progettata Area di Libero Scambio africana che pongono in risalto come, al di là di possibili benefici, ci sia il concreto pericolo di quanto possano ripetersi certi errori e certe politiche "viziate" da gravi carenze fin dall'inizio.



Alcune osservazioni sull’Area di Libero Scambio Continentale dell’Unione Africana.
Di Emilio Ciardiello
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Il 7 luglio 2019 a Niamey in Niger è stato dato ufficialmente il via alla creazione della più grande area di libero scambio del mondo per superficie e popolazione interessata (1,2 miliardi circa): l’Area di Libero Scambio Continentale dell’Unione Africana, in acronimo AfCFTA (African Continental Free Trade Area) che include 53 paesi su 54 del continente. L’Eritrea ne è per il momento rimasta fuori.

L’evento è stato salutato come una vera svolta per il continente da molti commentatori ed esponenti politici. La nascita dell’AfCFTA è vista come l’inizio di un nuovo periodo per l’intero continente, in cui la libertà economica e commerciale consentirà la nascita di nuove imprese africane e il maggior sviluppo di quelle esistenti, sottraendo il continente dal giogo post coloniale e delle multinazionali americane, europee e cinesi. Per questi commentatori ed esponenti politici l’Africa è finalmente libera di esprimere se stessa!

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L'Importanza strategica, geopolitica delle partecipate statali. Parte seconda: Leonardo

La seconda parte delle valutazioni sulle partecipate statali riguarda Leonardo, a firma dell'acuto e brillante Antonio Avigliano. Abbiamo precedentemente visto l'importanza di ENI per quanto riguarda l'indipendenza energetica dell'Italia, ma anche riguardo la ricerca sulle rinnovabili. Ora si esamina un altro colosso delle partecipate statali, che fa la parte del leone in un comparto che produce 13,5 miliardi l'anno solo nel settore areonautica e difesa, occupa 160.000 addetti ed esporta il 70% della produzione. Soprattutto permette all'Italia di rimanere nel novero delle nazioni di primo livello per quanto riguarda la produzione di altissima tecnologia, di mantenere una certa indipendenza nel settore degli approvvigionamenti della difesa, permettendo inoltre al paese di partecipare alla pari in progetti congiunti che poi hanno una notevolissima ricaduta a cascata sulle piccole e medie imprese nell'avanzamento tecnologico, tramite anche lo sfruttamento dei conseguenti brevetti. Il prestigio concreto che questo comporta, il "ranking" che ci porta l'essere una potenza tecnologica in settori chiave è una carta da giocare anche in termini geopolitici nel rapporto con le altre nazioni.

ENI & LEONARDO & FINCANTIERI: il ruolo delle partecipate statali nella crescita dell’Italia

Parte II: Leonardo
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                Il focus su Leonardo (ex Finmeccanica) partedalla firma del Memorandum of Understanding con CdP (Cassa Depositi e Prestiti) ed ELITE sulla “ELITE Leonardo Lounge”. Di cosa si tratta nello specifico?

L’accordo siglato prevede la nascita di una collaborazione finalizzata a sostenere la crescita dei fornitori strategici di Leonardo, strutturare e mettere a disposizione strumenti e soluzioni, finanziari e non, nell’ottica di accelerarne e supportarne i piani di sviluppo.

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Un nuovo lucido e puntuale intervento congiunto di Emilio Ciardiello, Ruben Giavitto e Alessandro Loreto sull'Africa, la penetrazione cinese e l'Occidente che completa gli interventi precedenti ed è prologo dei successivi che riguarderanno le prospettive di integrazione economica del continente.

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Riprendendo le analisi illustrate nei precedenti articoli, dobbiamo tener presente che la penetrazione cinese nei singoli stati africani rientra nel più grande e immenso progetto transcontinentale e transoceanico che è la Nuova Via della Seta, meglio conosciuta come "Belt and Road Initiative" (BRI). La penetrazione cinese segue l’epoca del colonialismo occidentale che ha prodotto la dominazione e lo sfruttamento del suolo africano e una certa occidentalizzazione del tipo di strutture statali e anche di parte del panorama culturale. Naturalmente, essendo calate in epoche storiche differenti, la penetrazione cinese è profondamente differente da quelle passate, è più simile a quella fatta dagli USA, dal dopoguerra, cioè nel senso più marcato di egemonia economica. Il gigante asiatico, a seconda delle circostanze, ha preso determinati schemi dal vecchio colonialismo occidentale e li ha rielaborati in versione propria per poi applicarli in ambito politico-economico-commerciale. Si ricorda che la Cina va ormai considerata un attore geopolitico mondiale con cui bisogna e bisognerà sempre più fare i conti e che della globalizzazione, per innumerevoli motivi talvolta anche in contrasto fra loro, ne ha tratto i maggiori benefici.

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Ibrahim Awwad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai (fu vera morte?) i Curdi siriani e il resto del mondo

Ibrahim Awwad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai (fu vera morte?)

i Curdi siriani e il resto del mondo
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Ibrahim Awwad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai detto Abu Bakr Al Baghdadi non poteva sparire in un momento migliore. Poco importa, come affermato anche da Gioele Magaldi, se sia morto effettivamente o meno, quello che conta è il significato mediatico e la conseguenza dell’avvenimento. Ci sono elementi che fanno propendere per una morte effettiva del califfo, altri destano qualche dubbio. Da una parte ci sono militari ed ex generali che rimproverano a Trump di aver rivelato tattiche e strategie delle SOF(special operation force) americane della Delta Force come ad esempio l’abbattere muri per evitare le possibili trappole nelle entrate delle abitazioni, il numero di elicotteri impiegato otto (8) il tempo di volo 1h e 10 minuti (1,1h) da cui si può tentare di dedurre la località di partenza e arrivo, l’aver tratto in salvo undici (11) bambini (che potrebbero far pensare a un atteggiamento ingenuo o incauto di Trump, quindi sincero, anche se nostro parere può essere un messaggio a chi può intendere), dall’altra ci sono perplessità sia nel racconto stesso di Trump, poiché non può aver sentito e visto in diretta gli ultimi momenti del califfo, dato che le telecamere dei soldati non potevano trasmettere dal sottosuolo, quindi non può aver visto Al Baghdadi piagnucolare e farsi esplodere con tre (3) dei suoi figli. Oltretutto desta perplessità sia la durata e le modalità dell’azione al suolo, quattro ore sono davvero tante per un raid (azioni di questo tipo devono di solito essere rapidissime per poter essere risolutive) e senza alcuna perdita e neppure feriti, sia il pronto riconoscimento del DNA del califfo probabilmente contaminato e mescolato anche a quello dei figli, visto che i corpi sono stati maciullati dall’esplosione (anche se si afferma che la testa sia rimasta fortunosamente intatta e un primo riconoscimento, pure visivo, sia stato fatto in base alla stessa). In condizioni ottimali ci vogliono circa un paio d’ore per l’analisi del DNA e le tempistiche tra il raid, partito alle 23 ora locale, la durata dell’azione e le prime indiscrezioni arrivano al limite delle possibilità tecniche.. Anche gli antefatti sono più da romanzo di Tom Clancy che da storia realmente possibile. Il tradimento di un uomo che ha avuto un parente ucciso dall’ISIS e che ha procurato il sangue del califfo per il riconoscimento del DNA (come se fosse facile procurarsi il sangue di un uomo irraggiungibile, e poi perché il sangue e non una ciocca di capelli o un pezzo d’unghia che sarebbe stato più facile?) o di una donna che ha collaborato con le formazioni femminili del’YPG (sommo sfregio per le ideologie di Baghdadi) se non impossibili, sembrano improbabili. Un generale russo, malgrado Trump abbia ringraziato anche la Russia per aver lasciato libero un corridoio per il transito di elicotteri, dichiara che i sensori russi non hanno assolutamente rilevato alcun sorvolo delle zone interessate da parte di mezzi volanti occidentali. E’ vero che gli elicotteri probabilmente hanno viaggiato molto bassi, appunto per non farsi rilevare da dispositivi di intercettazione, è vero che gli strumenti di rilevazione russi e siriani in quella zona non sono sicuramente ottimali e non possono competere con quelli della madrepatria e che ci vorrebbe un aereo radar per monitorare con precisione i velivoli a bassa quota, però lascia perplessi, se ciò dovesse corrispondere alla verità, che i Russi, malgrado siano stati preavvertiti, non abbiano rilevato proprio niente. Certo, potrebbe essere una manovra per offuscare l’incontestabile vittoria mediatica degli USA, ma soprattutto i Russi avevano interesse all’eliminazione del capo dell’ISIS. E poi, perché andare a gettare in mare i resti, che è anche uno spregio per i rituali islamici, quando tutta l’operazione si è svolta molto lontano dal mare?

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Uk e Russia: tra imperi perduti e ruoli futuri

Un brillante e acuto scritto di Emilio Ciardiello che completa per certi versi l'analisi sulla Brexit. Due nazioni che nonostante le diffidenze e rivalità reciproche hanno molto in comune. Due nazioni che si sentono ancora imperiali. Due nazioni che avevano  perso un'impero ma non  avevano (hanno) trovato un ruolo. Due nazioni che hanno (avevano) perso l'Europa (la Russia il Patto di Varsavia) ma non hanno (ancora) ritrovato un impero.
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Rapporti UK – Russia alla luce di una possibile Brexit

Sebbene non sia ancora chiaro se e come avverrà, sembra che il Regno Unito si avvii in un modo o nell’altro verso la Brexit. Ci si domanda quali potrebbero essere gli effetti di una possibile Brexit sui rapporti diplomatici e politici tra la Federazione Russa e il Regno Unito.

Ora è molto difficile poter immaginare quali saranno i rapporti tra il Regno Unito e un qualsiasi altro paese, quando non è chiaro se e come, dopo la Brexit, il Regno Unito riuscirà a rimanere, appunto, un Regno Unito.

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Il Cile stretto tra i fantasmi della mai dimenticata spietata repressione e il fallimento sociale delle politiche neoliberiste.

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Di seguito un intervento di Pietro Beltrame, nuovo membro del Dipartimento Geopolitica Esteri e Difesa che spiega le motivazioni e il percorso che ha portato il Cile a protestare e a scendere nelle piazze. I media mainstream, come già successo per la Grecia, non informano sulla reale gravità ed esstensione della protesta in Cile, sulle reali condizioni economiche della popolazione  né, colpevolmente informano sulle gravi violazioni dei Diritti Umani che là avvengono, con un numero di vittime molto superiore alle cifre ufficiali, con violenze in parte provocate ad arte per screditare le proteste, con casi di tortura e di detenzioni di massa che evocano i fantasmi della repressione golpista di Pinochet.

. M.R., che ha nello statuto la promozione e la difesa dei Diritti dell’Uomo, sarà sempre vicino a chi si vede deprivato di tali diritti e a chi manifesta pacificamente per abbattere ingiustizie e discriminazioni sociali e per cambiare le tossiche politiche neoliberiste. El pueblo unido jamas serà vencido.

Al mio primo viaggio in Cile del 1996,

atterravo a Santiago del Cile e pensavo di trovare favelas sudamericane, disuguaglianza e povertà ma il paese sembrava moderno ed evoluto, non si vedeva gente che stava male, le infrastrutture sembravano efficienti, mille locali e notti lucenti. Tutto pulito ed ordinato. 

Da pochi anni il Cile era uscito dalla dittatura di Pinochet ed i cileni erano fiduciosi. 

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Brexit e Kafka (con un pizzico di Jung)

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Brexit e Kafka

(con un pizzico di Jung)

 

 

        Ian McEwan ha dichiarato che scriverà un libro su brexit e Kafka. Accostamento non poteva essere più azzeccato. Penso che tutta la vicenda abbia veramente un non so che di kafkiano, surreale. Se si cerca di razionalizzarla probabilmente non si arriverà molto lontano. Sembra più materia per psicologi che per analisti e politologi. La spiegazione probabilmente sta nell’inconscio collettivo degli abitanti della Gran Bretagna, nelle loro paure, nelle loro illusioni, nelle loro fantasie, nei loro istinti, nella loro memoria storica che come ogni memoria che affonda le radici nel mito è soggetta a una serie di affabulazioni e, soprattutto, nella sete dei politici di affondare in tutte queste pulsioni per racimolare consensi. Concentrarsi infatti emotivamente su Alexander Boris de Pfeffel Johnson o Nigel Farage, impedisce di andare a fondo e analizzare le dinamiche e le cause più profonde del conflitto lacerante (di idee) che coinvolge le nazioni britanniche, specialmente quella inglese. Questi non hanno fatto altro che fiutare gli istinti più profondi della popolazione e fare da catalizzatore. Se non ci fossero stati loro ci sarebbe stato qualcun altro al loro posto a fare più o meno (con differenti sfumature, certamente e forse con differenti interessi personali) le stesse cose.

         È difficile scrivere un percorso lineare e logico per descrivere le pulsioni di quel voto, si rischia purtroppo di fare salti logici e di andare di palo in frasca.

         Ci sono sei modi per definire le isole britanniche, come citava Orwell: England, Britain, Great Britain, British Isles, United Kingdom e “in very exalted moments Albion”. Ognuno di questi termini viene usato, o meglio pensato, a seconda dell’umore del momento, delle circostanze, di chi si ha di fronte, dell’età, di come ci si pone verso una serie di argomenti e argomentazioni. Ognuno di questi termini, a seconda di come sta nella testa dell’elettore, può influire al momento del voto: leave o remain.

Infatti, più che di brexit, si dovrebbe parlare di englexit, poiché il nocciolo duro del leave si concentra proprio in Inghilterra.

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Il Movimento Roosevelt chiede l'immediato ritiro della batteria antiaerea italiana (Aster Samp/T) dal territorio turco.

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VIA LE NOSTRE FORZE ARMATE DAL TERRITORIO TURCO.

Della serie "Forse non tutti sanno che"

In questo caso non è una simpatica rubrica di un giornale enigmistico, ma un problema reale che coinvolge sia il nostro Ministero degli Esteri che quello della Difesa

L'Italia mantiene nel sud della Turchia una batteria di missili contraerei Aster (di fabbricazione italo-francese). Questi missili vennero posizionati nell'operazione Active Fence per proteggere durante la guerra in Siria la Turchia da possibili penetrazioni aeree o missilistiche provenienti dalla Siria stessa. Sono tra i missili più sofisticati a disposizione della NATO. Molti altri paesi NATO, compresa la Germania, e parzialmente gli USA, hanno già ritirato i loro asset. Noi no. Ci potrebbe essere la situazione paradossale che un eventuale attacco missilistico da parte dei Curdi in difesa del loro territorio possa essere sventato proprio dai missili italiani. l'Italia, viste le risicate spese per la difesa, ha pochissime di queste batterie, ed è il colmo che una di queste venga schierata proprio in un paese come la Turchia, Paese che tra l'altro minaccia quasi quotidianamente i nostri interessi energetici (ENI) nel Mediterraneo Orientale e due paesi parte integrante dell'Unione Europea (Cipro e Grecia)

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L'Importanza strategica, geopolitica delle partecipate statali. Parte prima: ENI

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Inizia una serie di valutazioni e di sensibilizzazione sull'importanza per l'Italia, e di conseguenza per  tutti noi ,delle partecipazioni statali. Queste sono un tesoro inestimabile per il ruolo, la salute economica, lo sviluppo tecnologicvo  e il conseguente "ranking" del nostro paese a livello mondiale, e il loro controllo è di importanza inestimabile e inalienabile, pena la sempre minore indipendenza del nostro paese. Ci sono stati ( e in parte ci sono ancora, anche se tenuti sotto silenzio mediatico), ripetuti tentativi per l'alienazione di questo patrimonio e per la completa privatizzazione di tali importanti risorse, anche da parte di certi circoli di potere italiani, per lo più di stampo neoiliberista o neoliberista "mascherato" Rimane quindi alto  il conseguente pericolo di acquisizione del controllo da parte di altre potenze estere. . Il Movimento Roosevelt è assolutamente contro tali manovre e pervicacemente  favorevole, pur nel rispetto delle regole di una sana economia di mercato di stampo social-liberale, al mantenimento di tali asset strategici. Nella prima parte si esaminerà l'importanza di ENI, grazie a una brillante ed esaustiva analisi di Michele  Nacchieri, importante risorsa del Dipartimento Esteri e Difesa, analisi che ha pochi riscontri di così alta qualità,sia a livello nazionale che internazionale; seguiranno Leonardo, Fincantieri e per finire una panoramica di tutte le altre realtà relativamente minori, ma non meno rilevanti nel loro complesso



PARTECIPATE STATALI - 1° Parte
ENI

Il rapporto fra le aziende partecipate/controllate dallo Stato (ossia tutte quelle società nelle quali lo Stato detiene una parte delle quote azionarie) e lo Stato stesso è da sempre il fulcro attorno al quale si sviluppa, se ben indirizzata, l’economia di un intero Paese. Tale simbiosi è stato il pilastro su cui si è appoggiata gran parte della ricostruzione del Dopoguerra e che ha permesso all’Italia di conquistare un ruolo preminente nel contesto europeo in generale. Un virtuosismo interrotto dalla stagione delle privatizzazioni selvagge, frutto avvelenato delle politiche neoliberiste applicate sia all’esterno, sia all’interno dei nostri confini, che dal ’94 al 2010 ha notevolmente alleggerito il peso delle casse pubbliche su moltissime realtà industriali nostrane. Basti consultare la Relazione sulle privatizzazioni redatta dal MEF per meglio farsi un’idea dello smantellamento messo in atto, quest’ultimo capace di fruttare durante tutto il periodo circa 97 miliardi di euro a fronte della rinuncia da parte dello Stato Italiano a numerosi gioielli produttivi che nel tempo hanno visto accrescere il proprio valore di mercato. Dalla dismissione dell’INA (4.8 mld) alla vendita del 68% di quote della Banca Nazionale del Lavoro (3.4 mld), dalla cessione totale di Telecom Italia (13 mld) a quelle parziali di ENI (29 mld a partire dal ’95) ed ENEL (34 mld di euro), per non citare lo smantellamento della chimica. A tal proposito, stando alle ultime dichiarazioni rilasciate a margine dell’Eurogruppo di Helsinki del ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, un’altra tranche di privatizzazioni sta per essere attuata: le società nel mirino potrebbero essere ancora una volta ENI, Poste Italiane, ENAV (azienda che gestisce il traffico aereo su tutto lo spazio aereo italiano) oltre che StMicroelectronics (fiore all’occhiello dei dispositivi a semiconduttore). Il meccanismo prevedrà la cessione di quote attualmente in mano allo Stato alla Cassa Depositi e Prestiti (anch’essa controllata per l’83% dal MEF): trattasi dunque di un ricircolo finanziario (con parziale perdita di controllo, proporzionale a quel 17% di CDP in mano ai privati) atto a iniettare subitaneamente nelle casse dello Stato una cifra che si aggira intorno ai 6 mld di euro in vista della manovra finanziaria di fine anno. Speriamo non sia un primo passo per la perdita di controllo di un patrimonio che è di tutti gli Italiani.

Oltre alle sopracitate ENI, ENEL, ENAV, Poste Italiane, CdP ed StM, rivestono grande importanza nel quadro delle società pubbliche partecipate dallo Stato Italiano anche RAI, Equitalia, Snam, Italgas, Terna, Saipem, Fincantieri, Leonardo-Finmeccanica e il gruppo Ferrovie dello Stato (FS).

Escludendo il 2015 (su cui pesò drammaticamente il crollo nel prezzo del petrolio che fece chiudere Eni con un – 8,8 miliardi), le partecipate hanno sempre macinato nel complesso utili miliardari, tali da portare la “Stato spa” al livello delle più importanti multinazionali. Basti considerare gli oltre 14,5 miliardi di utile netto (assemblando tutte le società partecipate) derivanti dall’esercizio del 2018 (non tutti dividendi di competenza dell’azionista pubblico, dato che molte società sono controllate dallo Stato solo con una quota). Se è vero che bisogna tornare al 2010 per trovare un risultato migliore del 2018 (quasi 17 miliardi di utile netto), è altrettanto vero che la doppia cifra (positiva!) è quasi sempre stata una costante, con la media di questi 8 anni che supera nel complesso delle partecipate agevolmente i 10 miliardi, quasi una manovra finanziaria. Insomma, cifre importanti che rimpinguano considerevolmente le casse dello Stato proiettandolo in una posizione di assoluto prestigio nel quadro europeo ed internazionale.

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