Riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo di Zvetan Lilov, socio del Movimento Roosevelt.
Riflettevo sul fatto che in questi ultimi decenni la consapevolezza degli esseri umani in merito ai propri diritti e al proprio benessere sembra svaporare: consideriamo (forse progressivamente sempre di più) inevitabili i problemi economici, sociali e fisici (sanitari, medici) che ci affliggono.
Riteniamo che le guerre siano parte inestirpabile del nostro mondo, le crisi economiche endemiche e ricorrenti anche senza dei veri perché, l’inquinamento e il cambio del clima inarrestabili in quanto eventi “più grandi di noi”.
Recentemente sono andato a rileggermi la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata dalle Nazioni Unite a Parigi il 10 dicembre 1948. Sapevo bene, per averla studiata sui banchi di scuola, dell’esistenza di questo documento, però non lo avevo mai letto interamente fino a oggi, che la scuola per ragioni anagrafiche non la frequento più.
Ho così ri-scoperto che la Dichiarazione riprende anche i contenuti di un altro documento precedente: la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino rilasciata a Versailles il 26 agosto 1789 (all’inizio della Rivoluzione Francese) e che essa a propria volta richiama la Dichiarazione d’Indipendenza dei tredici Stati Uniti d'America i quali, sottoscrivendola a Filadelfia il 4 luglio 1776, si staccarono dal dominio della Gran Bretagna.
Forse, come consideriamo ineluttabili tutte le nostre difficoltà umane in campo sociale, migratorio, economico e ambientale, diamo per scontate anche queste tre Carte, in gran parte perché non le ricordiamo o non le abbiamo mai lette (o rilette) interamente.
Quando lo facciamo, invece, scopriamo che l’Umanità già da qualche secolo ha sentito il bisogno, e trovato la forza, l’occasione e la modalità, di redigere in forma scritta la propria presa di coscienza su sé stessa in relazione ai propri diritti.
Non solo: esistono almeno altri due documenti ancora precedenti che danno forma al desiderio di affermare la propria capacità di esercitare l’interlocuzione con il Potere (esecutivo e militare innanzitutto). Mi riferisco al Bill of Rights o Declaration of Rights sottoscritta a Londra il 13 febbraio 1689 (uno dei cardini del sistema costituzionale del Regno Unito in quanto atto che dichiara i diritti e le libertà dei sudditi rispetto alla monarchia) e alla Magna Charta Libertatum (“delle Libertà”) che vide la luce a Runnymede, vicino a Windsor in Inghilterra il 15 giugno 1215, la quale dopo l’emanazione fu confermata diverse volte fino a diventare parte della legge statutaria inglese.
Siamo di fronte a cinque articolate iniziative con le quali alcuni gruppi di esseri umani hanno inteso porre in forma esplicita, nei confronti di chi detiene ed esercita il potere, i diritti propri e progressivamente anche di altri che queste iniziative non hanno potuto, o saputo, prendere. Dico progressivamente perché, a differenza delle prime quattro, la Dichiarazione del 1948 è esplicitamente “Universale”, dunque si estende a ogni singolo essere umano senza esclusione alcuna.
Queste Carte sono il frutto di prese di coscienza sulla propria dignità che hanno posto basi molto chiare, anche se non del tutto stabili, da cui le nostre azioni possono partire per migliorare la nostra condizione di esseri umani. Sono tuttavia documenti dati per scontati e questo non perché consolidati e metabolizzati, bensì in quanto non di rado ignorati sia dai loro beneficiari (le grandi masse) sia dai detentori delle leve di potere economico, politico, giudiziario, militare e sociale che dovrebbero porli in atto.
Osservare le analogie tra questi cinque solenni impegni dell’umanità verso sé stessa dà alcuni risultati degni di nota. Innanzitutto sono tutte “Dichiarazioni”. Una dichiarazione si distingue da una semplice “affermazione” in quanto non si limita a rilevare uno stato di fatto, per quanto condiviso e dunque potenzialmente “oggettivo”, ma è un’espressione di volontà che impegna le azioni degli interessati e di conseguenza crea possibilità future altrimenti inesistenti: apre delle porte che diversamente resterebbero chiuse.
Le porte aperte sono il rispetto concreto di una serie di principi ai quali abbiamo dichiarato debbano conformarsi le nostre azioni quotidiane.
Parliamo di diritti in realtà violati, ignorati o mai considerati in molte parti del nostro pianeta, Occidente compreso, e molto poco conosciuti dalla maggioranza degli Esseri Umani i quali pure sono i protagonisti dei cinque Manifesti dichiarativi.
Inoltre, tutte e cinque le Carte statuiscono il diritto di eleggere propri rappresentanti in assemblee, dando valore al principio della rappresentatività che oggi è messo in discussione da chi vorrebbe privilegiare la cosiddetta democrazia diretta senza considerare che il discrimine tra libertà e manipolazione non è se le decisioni siano “dirette” o “mediate” da assemblee parlamentari, bensì se siano prese in maniera informata, in quanto ciò che fa la differenza è se siamo in grado di conoscere prima di deliberare, secondo l’indicazione lasciataci da Luigi Einaudi.
È poi presente nella Dichiarazione ONU il riconoscimento che ogni essere umano ha personalità giuridica, vale a dire è un soggetto, né più né meno di TUTTI i suoi simili, titolare sia di Diritti Naturali (intrinseci alla sua Essenza) e inalienabili (non cedibili, ai quali non gli è dato rinunciare) sia di corrispondenti Doveri (citati, questi ultimi, sia nel preambolo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, sia, all’articolo 10, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).
Interessante è anche osservare che non soltanto la Natura viene posta a origine di quanto dichiarato:
- la Carta di Versailles agisce infatti “sotto gli auspici dell’Essere Supremo”,
- mentre la Dichiarazione d’Indipendenza Americana si appella sia al “Supremo Giudice del Mondo” sia alla “rettitudine delle nostre intenzioni, nel Nome e con l’Autorità del buon popolo di queste colonie”, e dà in pegno per quanto dichiarato solennemente “l'un l'altro le nostre Vite, le nostre Fortune e il nostro Sacro Onore”.
Il binomio “Libertà e Diritti” più volte presente nei documenti trae quindi la propria forza da una Scala dei Valori (l’Onore, la rettitudine delle intenzioni, l’Autorità del buon popolo) che si radica in una realtà contemporaneamente trascendente (suprema) e immanente (il giudice del Mondo).
Sia la Dichiarazione di Versailles sia quella Americana fanno menzione della felicità (esplicitamente definita “di tutti” nella prima). In un tempo come il nostro in cui ancora ci rassegniamo a soffrire “inevitabilmente”, può essere di qualche aiuto confrontarsi con definizioni considerate assiomatiche già più di due secoli fa a Filadelfia, quando gli Stati Uniti stavano per nascere:
“Noi teniamo per certo che queste verità siano di per se stesse evidenti: che tutti gli uomini sono creati eguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che tra questi vi siano la Vita, la Libertà ed il Perseguimento della Felicità. Che per assicurare questi diritti sono istituiti tra gli Uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati. Che quando un qualsiasi Sistema di Governo diventa distruttivo di questi fini, è Diritto del Popolo di alterarlo o di abolirlo e di istituire un nuovo Governo, ponendone il fondamento su questi princìpi ed organizzandone i poteri in una forma tale che gli sembri la più adeguata per garantire la propria sicurezza e la propria Felicità”.
La felicità è citata due volte, e richiama il “benessere” di cui si fa portavoce la Dichiarazione ONU e che compare citato anche nel Bill of Rights del 1689, un secolo prima della Rivoluzione Francese.
È appena il caso di notare che i cinque Documenti hanno visto la luce in Inghilterra, in Francia e nei neonati Stati Uniti: tre stati le cui solide basi democratiche rappresentate dalle Carte non sembrano esattamente onorate dai comportamenti dei loro governanti negli ultimi decenni, e questa è solo apparentemente un’altra storia.
Le cinque Dichiarazioni prese nel loro complesso, in forma sia complementare sia rafforzativa l’una dell’altra si pongono come obiettivo il riconoscimento e la realizzazione pratica di principi che conducono a sviluppare e rispettare fisicamente, socialmente, economicamente e culturalmente la persona.
Sanciscono
- l’habeas corpus,
- il divieto di detenzione ingiustificata, tortura, trattamenti o punizioni crudeli, inumane o degradanti,
- l’equità nelle pene,
- il trattamento economico dignitoso.
Affermano linee guida che parrebbero ovvie, se non fosse che spesso non sono seguite, né note:
- la separazione dei poteri,
- la forza pubblica istituita “per il vantaggio di tutti e non per l’utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata” oltre che pagata da tutti (Dichiarazione di Versailles),
- l’equità di un’imposizione fiscale concordata con i rappresentanti del popolo (presente già nella Magna Charta del 1215),
- la libertà assoluta di manifestare il proprio pensiero,
- la non persecuzione per motivi religiosi (fulcro della Dichiarazione Inglese del 1689),
- la sicurezza, la proprietà, la resistenza all’oppressione,
- la facoltà di rivolgere reclami e richieste all’autorità pubblica per vedere soddisfatti i propri diritti.
Tutto ciò ha un nome che accompagna i termini “Libertà” e “Diritti”, e questo nome è “Dignità” la quale, nel preambolo della Dichiarazione ONU, è definita “inerente a tutti i membri della famiglia umana” perché, afferma poi l’articolo uno, “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
Gli esseri della specie umana sono definiti “fratelli” riprendendo diverse tradizioni filosofiche, religiose e politiche compresa quella latomistica (massonica), parte di una medesima famiglia e dotati di ragione e di coscienza. Significativo è che la Dichiarazione parli di dignità e diritti nel preambolo e, riprendendo tale associazione nel primo articolo, introduca parallelamente il concetto di “dovere”.
Che il binomio “Dignità-Dovere” sia potenzialmente la porta di un percorso evolutivo e iniziatico può essere intuito leggendo il Discorso sulla Dignità dell’Uomo di Pico della Mirandola del 1486.
Scrive Pico che “il sommo Padre, Dio architetto” (espressione che sarebbe poi stata della massoneria) dopo aver dato forma al mondo, “tempio augustissimo della divinità, secondo le leggi della sapienza arcana (…) desiderava che vi fosse qualcuno che sapesse apprezzare il significato di tanto lavoro, che ne sapesse amare la bellezza, ammirarne la grandezza”. Creò quindi l’Uomo e,
“postolo nel mezzo del mondo così gli parlò: «Non ti abbiamo dato, o Adamo, una dimora certa, né un sembiante proprio, né una prerogativa peculiare affinché avessi e possedessi come desideri e come senti la dimora, il sembiante, le prerogative che tu da te stesso avrai scelto. La natura agli altri esseri, una volta definita, è costretta entro le leggi da noi dettate. Nel tuo caso sarai tu, non costretto da alcuna limitazione, secondo il tuo arbitrio, nella cui mano ti ho posto, a decidere su di essa. Ti ho posto in mezzo al mondo, perché di qui potessi più facilmente guardare attorno a quanto è nel mondo. Non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché come libero, straordinario plasmatore e scultore di te stesso, tu ti possa foggiare da te stesso nella forma che avrai preferito. Potrai degenerare nei esseri inferiori, che sono i bruti; potrai rigenerarti, secondo la tua decisione, negli esseri superiori, che sono divini»”.
Credo che trattando della facoltà di Osservare, Elevarsi o Inabissarsi Pico descriva la Coscienza umana alle prese con le Soglie della percezione e dell’elevazione curate dai rispettivi guardiani esoterici. La nostra Coscienza può interiorizzare la consapevolezza della propria Dignità e difenderla, oppure dimenticarsene e farsi ineluttabilmente schiava di chi ne può sfruttare l’ignoranza o il non ricordo.
Proclama la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, nella prima frase del preambolo, che “l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi”.
Dunque, coscienza e memoria (assenza di ignoranza o di oblio) forgiano la dignità di ogni popolo (e, quindi, dell’intero popolo umano), ma senza memoria la Coscienza si perde in quanto non è immortale né immutabile. Va continuamente nutrita e rigenerata attraverso la conoscenza e l’esercizio dei frutti che quest’ultima reca, grazie alla sperimentazione. La prassi cosciente è il fulcro del nostro Onore e Dignità.
Per quale ragione la memoria si perde? Che cosa interviene per spezzare il filo dell’umano cammino? Occorre fare un passo avanti e ricordare che altri diritti sono disponibili e funzionali al mantenimento della nostra presenza consapevole:
- Il Diritto a sapere di più su noi stessi e a riconoscere la nostra multi dimensionalità (corpo, mente, spirito),
- Il Diritto al ricordo delle nostre vite/dimensioni passate e parallele in quanto anime, vite che recano con sé la stratificazione di ciò che siamo stati e che siamo in questo momento, altrove,
- Il Diritto a sapere che nella multi-dimensione in cui viviamo è presente la nostra mente genetica, la quale rappresenta per noi un accumulo di esperienze che rimane sotto il nostro livello di coscienza e influenza, limitandolo, il nostro arbitrio,
- Il diritto a sapere secondo quali leggi dell’energia mentale funziona questa multi dimensione, ogni parte della quale ha meccaniche sue proprie,
- Il diritto all’Arte e alla Creatività nel porre in atto tutte queste conoscenze,
- Il Diritto, paradossalmente, anche all’oblio di quanto sopra, ma solo dopo averlo ricordato affinché il non considerarlo sia una libera scelta e non un’imposizione della cultura e civiltà (soprattutto occidentali) in cui viviamo.
Come possiamo ottemperare ai nostri Doveri e dare corpo ai nostri Diritti se, al momento di una nuova incarnazione in un corpo umano, dimentichiamo ogni conoscenza conquistata, risultato ottenuto, riflessione elaborata sull’esistenza appena trascorsa?
Almeno una parte di coloro che hanno redatto le cinque Dichiarazioni possedeva conoscenze esoteriche avanzate che ha voluto calare nella prassi attraverso il mezzo della forma scritta. Dove è finito questo patrimonio di Essenza sottostante i Documenti? Perché dopo secoli ancora non li abbiamo interiorizzati a tal punto da assumerli nel nostro DNA spirituale?
Qualcosa lavora contro di noi a dispetto dei nostri sforzi di lasciare traccia di quanto abbiamo conquistato, a beneficio di chi ci seguirà (e di una stessa parte di noi che assumerà in nuove vesti “umane” altri ruoli sul palcoscenico terrestre).
Riprenderci il contenuto delle cinque Dichiarazioni, progressivamente una più avanzata dell’altra (perché qualcosa rimane, tra un’incarnazione e l’altra!) vuol dire rimetterci sul Cammino riconoscendo i Diritti e i Doveri profondi che lo rendono necessario e contemporaneamente possibile.
In questo senso la realizzazione pratica e quotidiana della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e delle Dichiarazioni che l’hanno preceduta richiede un percorso esoterico e iniziatico, un passaggio interiore oltre la Soglia delle nostre dimensioni oscure (compresa quella del fine vita e della morte) fino alla comprensione e alla sconfitta dei nostri demoni interiori, personali e collettivi.
Nel caso in cui ce lo dimentichiamo ancora, è la Coscienza l’Entità in grado di osservare il Mondo: le altre creature (tanto brute, quanto angeliche) sono sottoposte in forma inconsapevole a leggi definite, dalle quali non possono sfuggire (“La natura agli altri esseri, una volta definita, è costretta entro le leggi da noi dettate. Nel tuo caso sarai tu, non costretto da alcuna limitazione, secondo il tuo arbitrio, nella cui mano ti ho posto, a decidere su di essa”, scrive Pico della Mirandola).
E per questo, gli Attimi di Consapevolezza che dalla Coscienza hanno origine quando comprendiamo qualcosa meritano la nostra strenua difesa, attraverso un percorso iniziatico che ci insegni a non perderli e anzi a tramandarli.
Solo così potremo realizzare la nostra sovranità, che prima che Politica, Sociale ed Economica non può che essere Spirituale.
La Dichiarazione Francese del 1789 chiarisce all’articolo 3, in quella che è una vera posizione d’intenti, che “Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa”.
Afferma il vocabolario Treccani che “Nazione” (termine la cui radice è il verbo “nascere”) è un insieme di persone che hanno comunanza di origine, lingua, storia e che di tale unità hanno coscienza anche se non sono riunite in un’unità politica. Su questa coscienza si fonda il suo essere “sovrano”, cioè possedere un potere e un’autorità che non dipendono da altre forme di potere o autorità sovraordinate.
Ebbene, credo che la nostra Spiritualità abbia tutta la dignità necessaria a non accettare forme di subordinazione.
Sempre consultando il Treccani apprendiamo che “Dignità” e “Onore” sono quasi sinonimi, essendo la prima “la condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue qualità intrinseche, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso”, e il secondo “la dignità personale in quanto si riflette nella considerazione/reputazione altrui e, in senso più positivo, il valore morale, il merito di una persona”.
Gli Stati Uniti appena nati avevano tanto senso dell’onore che sentirono il bisogno di spiegare il motivo della propria ribellione alla subordinazione: “Quando, nel corso degli eventi umani, diviene necessario per un popolo rescindere i legami politici che lo legavano ad un altro, ed assumere tra le Potenze della Terra la posizione separata ed eguale alla quale le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno titolo, un giusto rispetto delle opinioni dell'Umanità richiede che essi manifestino le cause che li costringono alla separazione”.
Le cinque Dichiarazioni di cui ho parlato sono una miniera di conoscenza, umana riscossa e volontà di riscatto. Non basta un articolo per conoscerle: è nostro compito adempiere al nostro dovere di informarci e leggerle, studiarle, commentarle, smettendo di ignorarle (nel senso proprio del termine) o di darle per scontate.
In esse, e nel percorso evolutivo interiore che esse rappresentarono per i loro compilatori e che richiedono a noi discendenti, risiedono i semi delle nostre Azioni presenti e future per la rinascita della nostra Essenza e del nostro Onore di Entità Spirituali Senzienti, Antiche, Dimentiche di Sé Stesse (e ciò non ostante non ancora, completamente, morte o dimenticate), apparentemente disprezzate da un certo Potere che non si palesa perché potenzialmente potenti se consce di sé e quindi utili se sfruttate come fonte inconsapevole di energia emozionale.
È nelle nostre possibilità unire con determinazione i diversi filoni della conoscenza iniziatica umana che può ulteriormente evolvere attraverso la fertilizzazione incrociata della tradizione e delle scoperte ed elaborazioni più recenti, e così dotarci di strumenti della prassi che, come dicono le parole di Pico della Mirandola, siano strumento di rigenerazione verso dimensioni divine e superiori.
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ZVETAN LILOV
(Articolo del 6 ottobre 2019)
N.B.: il metapartitico Movimento Roosevelt è l’unica organizzazione politica che abbia al centro del proprio Statuto e delle proprie finalità il perseguimento, il perfezionamento e la promozione dei Diritti Umani cosi come enunciati nella Dichiarazione promulgata all’ONU (madrina Eleanor Roosevelt) il 10 dicembre 1948.
Invitiamo i cittadini non ancora rooseveltiani ad unirsi a noi, come suggerito di recente anche in
Per ottenere la tessera del metapartitico Movimento Roosevelt:
https://blog.movimentoroosevelt.com/iscriviti-o-rinnova.html
REDAZIONE MOVIMENTO ROOSEVELT (www.movimentoroosevelt.com )