Ascoltando distrattamente la televisione, si può comunque notare che, ad intervalli di non più di quindici minuti, viene somministrata la nozione che "lo sviluppo degli anni '60 è una stagione irripetibile, dovuta alla concomitanza di circostanze fortuite ed eccezionalmente favorevoli". Questa idea viene ripetuta con frasi più o meno simili, iterativamente e reiteratamente, fino a farla diventare una verità che lo spettatore (che paga le tasse televisive per subire questa propaganda) assimila passivamente. Quel che non viene detto è che gli anni '60 rappresentano una stagione che è certamente irripetibile se insistiamo con l'attuale sistema economico, che è stato imposto a partire dagli anni '80 in America (con Reagan) e in Europa (con la Thatcher). Stiamo parlando di un sistema indifferente al risparmio e che ha l'esclusivo interesse di trasformare tutto il reddito in consumo. Dire tutto il reddito in realtà è parziale, perché l'obiettivo di questo sistema è andare oltre il 100% del reddito mediante il debito. Naturalmente, chi ha il vero vantaggio non è chi prende a prestito, ma chi concede il prestito che, oltre ad avere una funzione economica di sfondamento del limite, è anche il miglior strumento di controllo e soggiogamento politico nei paesi democratici. In breve, siamo tornati al modello di capitalismo "selvaggio" o "rampante" che era in uso prima della crisi (la grande depressione) del 1929.
Per capire meglio, si può fare il confronto con il sistema che venne utilizzato per produrre il "miracolo economico", il "boom" degli anni '60 e cioè il sistema di capitalismo regolato dall'autorità statale che era stato creato da John Maynard Keynes ed applicato politicamente da F.D. Roosevelt: un modello in cui non era il debito a trasformarsi in consumo (come nella società dello spreco costruita da Reagan e Thatcher): il fine delle politiche rooseveltiane-keynesiane è trasformare il risparmio in investimento.
Perché questa virtuosa operazione potesse aver luogo, lo stato (oltre ad investire in infrastrutture direttamente), emetteva titoli pubblici (in Italia, BOT e CCT) con un significativo tasso di interesse (per impedire che i privati "nascondessero i soldi sotto il materasso" impedendo la circolazione della ricchezza) e, raccolto questo denaro da "debito pubblico", lo spendeva in nuovi investimenti.
Il modello rooseveltiano-kenesiano, a partire dalla metà degli anni '70 (in coincidenza, come dice bene il libro di Gioele Magaldi, con l'emergere delle politiche di potere che confluirono nel documento programmatico "The crisis of democracy" ) venne messo in dubbio dalle forze neo-aristocratiche e reazionarie che, fautori essi stessi dei fattori di corruzione, accusavano i limiti della effettività e dell'efficienza del modello risparmi/investimenti, soprattutto svelando tutte quelle circostanze in cui il risparmio non si traduceva in effettivi investimenti, perché spesso le "spese per investimento" venivano in realtà convertite in "spese per consumo" (ad esempio, quando invece di realizzare un'opera - supponiamo, il ponte sullo stretto - i finanziamenti vengono utilizzati per pagare esclusivamente parcelle e competenze improduttive).
Sulla base di queste polemiche, gli economisti di scuola liberista-monetarista (Von Hayek, Friedman ed altri assassini del ceto medio e del popolo) hanno avuto gioco facile nell'indicare le "inefficienze" del sistema (spesso prodotte da loro stessi, perché sono le élites ad avere il potere di entrare nei grandi appalti), accusando lo stato di essere un costo per la società e un pessimo allocatore di risorse.
Il resto è stato fatto attraverso l'inaudito aumento delle paghe dei dirigenti, fnalizzato (e qui possiamo fare facilmente l'esempio delle ferrovie dello stato, dove il dirigente di vertice prendeva 800mila euro l'anno mentre un cittadino per andare da Bari ad Ancona impiega un tempo inenarrabile e aleatorio) a sostenere non l'efficienza della sua impresa, ma il rischio di decisioni spesso oltre il limite della legalità, affinché comunque i casi di corruzione per turbative d'asta ed altre prebende illecitamente attribuite ai soliti predatori, attraverso i migliori avvocati, potessero andare di rinvio in rinvio fino alla prescrizione, garantendo impunità.
Ecco la fotografia del mondo in cui viviamo.
Certo, il sistema rooseveltiano-keynesiano non era il paradiso, resta chiaramente legato alle umane cose, infine non è che economia.
Ma, come ricorda ogni buon economista, l'etimologia greca di questo termine non è che oikos nomòs, gestione della casa: e quindil'economia vera non è che trasformare il risparmio in investimento, come saggiamente ricorda e sostiene il modello rooseveltiano-keynesiano alla base del "boom".
Qualcuno dirà che quell'epoca è stata favorita dagli investimenti per la ricostruzione del dopoguerra. Ammesso che questa fosse la causa esclusiva - e non è così - in ogni caso, per trovare uno scenario adatto ai grandi investimenti infrastrutturali, basterebbe avviare politiche di sviluppo economico nel Mediterraneo (senza dire del ritardo del nostro Mezzogiorno che, dopo tra cicli settennali di finanziamenti europei, non solo non è stato colmato, ma si è aggravato).
Al contrario, nulla di più scellerato che continuare con gestioni domestiche in cui non c'è risparmio e, al contrario, non si fa che aggiungere debiti su debiti, il cui esito inevitabile è arrivare all'insolvenza e, fatalmente, dopo aver tentato tutti i trucchi e tutti i giochetti finanziari, al fallimento e al suicidio.
Quando queste politiche non sono più semplice gestione domestica ma linea economica dello Stato, è il suicidio dell'intera società, allegra meta alla quale ci avviciniamo con passo lieto e giocoso.
In conclusione, la soluzione è semplice ed è nota a tutti: basta remunerare il risparmio con tassi di interesse adeguati e attuare politiche statali volte a garantire la trasformazione del risparmio in investimenti. Questo sistema, se non è ingannato e corrotto da finti investimenti che assorbono improduttivamente il risparmio, funziona sempre.
Perché allora questo non viene fatto? Semplicemente perché non è funzionale al potere. Il sistema del debito è molto più potente dal punto di vista della capacità di controllo sociale e di soggiogamento dei popoli.
Ciò è particolarmente evidente se si considerano le scelte globali nelle poltiche energetiche: il potere è la ragione si insiste con sistemi di approvigionamento energetico basate su tecnologie esclusive e limitate, non importa quanto inquinanti (come il petrolio) o quanto pericolose (come l'atomica), preferendole a tecniche potenzialmente alla portata di tutti, come l'idrogeno e il solare.
NOTA BENE: questi sono tutti buoni motivi per votare SI al divieto di continuare con le trivelle in cerca di petrolio al referendum del 17 aprile.
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Sull'irripetibilità del "boom" economico, sul petrolio e sul referendum del 17 aprile
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- Postato da Davide Crimi