News dal Dipartimento Geopolitica

Una prima, ottima analisi di Alessandro Loreto e Ruben Giavitto del Dipartimento geopolitica & Difesa che introduce le modalità, caratteristiche e criticità della penetrazione  Cinese in Africa

Copertina Neocolonialismo Cinese f213a

Movimento Roosevelt,

Dipartimento Geopolitica e Difesa

La strategia della Repubblica Popolare di Cina e la sua penetrazione in Africa.

Premessa.

 

I grandi cambiamenti del XXI secolo ci mettono sempre più davanti a scenari articolati e

complessi, caratterizzati spesso da una loro accresciuta estensione e vastità. Questi scenari

partono dal progressivo, lento ma inesorabile sgretolamento dei grandi imperi coloniali nei

secoli XIX e XX, dalle conseguenze dei due conflitti mondiali dai quali scaturirono gli accordi

di Yalta nel 1945 che disegnarono di fatto la nascita di un nuovo equilibrio economico,

geopolitico e militare bipolare (caratterizzato appunto dalla delimitazione rigorosa tra

potenze occidentali democratiche da una parte e blocco comunista orientale dall'altra,

equilibrio che ha marcato la seconda parte del XX secolo fino al 1989), e dallo sfaldamento

dello stesso equilibrio con l’implodere dell’URSS e del suo sistema di alleanze. Queste

delimitazioni descritte in veloce sintesi saltarono e negli anni novanta il mondo cambiò: gli

avvenimenti hanno bruciato sul tempo i passaggi storici che per forza di cose sono molto più

lenti per ovvi motivi di analisi. Da un mondo a trazione bipolare fondamentalmente dominato

da due superpotenze nucleari (USA e URSS) si è in breve passati a un mondo multipolare

con la rapida ascesa sul teatro globale di nuove grandi potenze anch’esse militarmente

atomiche, non certo ancora a livello di Stati Uniti e Russia, ma in qualsiasi caso da tenere in

ragguardevole rispetto.

Con l’avvento del XXI secolo le politiche commerciali globali hanno visto un sostanziale

cambiamento (da un’asse transatlantico ad uno transpacifico prevalente), accompagnato

altresì anche da spostamenti di equilibri e di tradizionali alleanze economico strategico-commerciali. In Occidente l’alleanza militare economica della Nato, che durante la guerra

fredda aveva avuto un determinato ruolo, ha subito un mutamento di fisionomia e di obiettivi.

Infatti, abbiamo assistito ad un allargamento a Est dell’Alleanza Atlantica stessa con l’entrata

dei paesi cosiddetti ex-comunisti e dall’ingresso di questi stessi paesi nell’Unione Europea

(2004-2007). È chiaro che tutto questo ha inevitabilmente cambiato l’assetto del continente

europeo nel suo insieme. Al contrario dell’alleanza militare della Nato, quella che faceva

capo all’Unione Sovietica (diventata nel frattempo Federazione Russa) vale a dire il Patto di

Varsavia, si è sciolto sia economicamente che militarmente. La fine dell’Unione Sovietica ha

fatto sì che molte nazioni euroasiatiche abbiano riacquistato indipendenza ed autonomia,

riappropriandosi di parte delle immense ricchezze energetiche di quella parte del mondo. A

ciò soprascritto si può aggiungere il non secondario fattore dell’entrata in vigore della nuova

moneta europea (l'Euro dal 2002), che ambiva di affiancare il dollaro come valuta di

riferimento al livello globale. In questo inizio di XXI secolo abbiamo infine assistito alla

comparsa minacciosa sulla scena mondiale del terrorismo internazionale di varia matrice, da

quella ideologica a quella politico-religiosa, la cui storia e connotazione parte da lontano e

meriterebbe una riflessione più accurata.

È in questo contesto che ci siamo permessi, molto succintamente, di descrivere che attori

giganteschi e per decenni silenti si siano a questo punto prepotentemente affacciati sulla

scena mondiale. Cina e India sono tra i principali protagonisti di questo nuovo scenario. È

chiaro che l'allentamento forte di vincoli economico-militari-commerciali e strategici del XX

secolo nel suo insieme, ha creato i presupposti ad un mondo dove rigidità culturali, etniche

ed antropologiche si sono indebolite. Tutto ciò ha favorito interscambi ed interconnessioni tra

Stati e tra continenti fino a venticinque anni fa impensabili. Cina e India insieme

compongono un terzo della popolazione della Terra: questi due enormi paesi, non toccati

direttamente dai conflitti mondiali ma impegnati anche se in maniera diversa in conflitti

regionali, hanno avuto un XX secolo da non protagonisti al livello mondiale: sarà la Cina

di cui ci interesseremo e su cui cercheremo di focalizzare la nostra attenzione, ritenendo

doveroso però fare qualche premessa per meglio introdurre i nostri dati e le nostre analisi.

Potremmo definire attualmente la Repubblica Popolare di Cina un sistema autoritario

comunista-liberista consequenzialmente al libero scambio e commercio. Questa

formulazione del sistema cinese potrebbe scandalizzare, ma a noi può aiutare meglio a

descrivere quello che appare ai giorni nostri il gigante asiatico. Prima di addentrarci nei

mega investimenti cinesi nel mondo (più specificatamente in Africa) in questo XXI secolo,

siamo costretti ancora una volta a fare un passo indietro, al tempo della guerra fredda,

precisamente negli anni settanta, quando l'allora amministrazione degli Stati Uniti, sotto la

presidenza di Richard Nixon con segretario di Stato Henry Kissinger, spezzò l’ intesa

ideologica comunista cino-sovietica e cambiò il corso della storia dando ai dirigenti cinesi

aiuti tecnologici ed economici ma soprattutto le armi del capitalismo moderno.

Possiamo ora entrare più nel dettaglio sull'argomento principale oggetto della trattazione. È

sottinteso che la materia che cerchiamo di capire e di analizzare riveste un’importanza

geopolitica, strategica ed economica nonché militare anche per il nostro paese. Oltre ai forti

legami storico-culturali che noi italiani abbiamo coltivato con l'Africa nel XX secolo, il nostro

paese dovrebbe e deve creare i presupposti per essere fattore di equilibrio in Africa e nel

Mediterraneo, suo bacino da sempre di influenza vitale. Gli interessi energetici, commerciali,

industriali, militari, per una potenza europea quale voglia accreditarsi l'Italia, sono di

fondamentale importanza. La nostra penisola ha avuto specialmente con paesi costieri e

frontalieri dell'Africa in generale e del suo nord-est in particolare, già a partire dalla fine del diciannovesimo secolo, i rapporti più importanti, che hanno visto una partecipazione fisica e di occupazione nella storia e nella vita di paesi come Libia, Somalia ed Eritrea. È in questo quadro in cui presteremo una

particolare attenzione alla penetrazione cinese in Africa ed ai suoi poderosi investimenti

economico-commerciali ed infrastrutturali in questo continente ricco soprattutto di materie

prime.

Per dare un'idea della lungimiranza e della grande visione dei dirigenti politici cinesi,

iniziamo subito dicendo che il progetto espansionistico nel continente nero è iniziato ed è

stato pianificato circa venti anni fa, con i primi rapporti di natura economico-finanziaria.

Nel 2015 il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jimping ha annunciato un

importante stanziamento in aiuti per sessanta miliardi di dollari da destinare all’Africa. In

questo periodo ancora si parlava poco della Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta

o “One Belt One Road” (OBOR): il piano di ammodernamento transcontinentale,

paragonabile per fini politici a un piano Marshall del XXI secolo, col quale la Cina sta

consolidando la sua influenza mondiale. Solo nel 2017, contratti cinesi in Africa sono valsi

76,5 miliardi di dollari. Un flusso di denaro imparagonabile a quelli messi in campo da istituti

di credito interno come l’ “African Development Bank” o la Banca Europea per gli

Investimenti o da istituzioni come la Comunità Europea. Dopo la cospicua tranche erogata

nel 2015, con effetti negli anni a seguire, ora a settembre 2018 lo stesso Xi Jimping, al terzo

forum “On China-Africa Coperation” che si è svolto nella grande sala del popolo di Pechino il

4 settembre, davanti a cinquanta capi di Stato di Paesi africani, ha annunciato una replica

identica allo stanziamento di tre anni prima, con altri 60 miliardi di dollari che andranno

suddivisi in: prestiti, linee di credito, fondi speciali, sgravi fiscali e progetti infrastrutturali. I 60

miliardi di questa seconda ondata saranno così suddivisi secondo i piani cinesi: 20 mld in

linee di credito, 15 in prestiti ed aiuti ad interesse zero, 10 in fondi per lo sviluppo, 10 project

financing e 5 per facilitare le importazioni in Africa. Ritornando alla One Belt One Road

(OBOR), il fronte africano è costituito da un sistema complesso e stratificato di accordi,

memorandum e negoziazioni tra Cina e Africa: crediti e garanzia di esportazione,

co-venture, anticipi su progetti e cartolarizzazioni. Tutto questo ha un’enorme valenza

economico-politica, ma con una chiara e visibile particolare attenzione per quello che

riguarda la domanda interna cinese. Gli investimenti infrastrutturali che la Cina sta facendo

in Africa riguardano: nuove linee ferroviarie, ammodernamento di porti come a Gibuti, come

a Tripoli in Libia (che sta affrontando le tensioni e l’instabilità politica del dopo regime di

Gheddafi), Port Said in Egitto e Lagos in Nigeria. In sostanza stiamo parlando dello sviluppo

logistico di una parte strategica e vitale del continente. Per essere più chiari, partendo dai

prestiti e aiuti iniziali, i benefici economici scaturiti dal moltiplicatore finanziario che si è

sviluppato e incrementato esponenzialmente negli anni nei paesi africani, non sono uguali

tra Stato è Stato. Per esempio nel frattempo il Ghana ha ricavato da questo sistema circa 60

miliardi, lo Zimbabwe circa 33 miliardi e l’Angola 45. Tra l’altro la società petrolifera di stato

angolana (“Sonangol”) è quasi del tutto controllata dalla China’s Development Bank. La Cina

operando con prestiti facilitati e linee di credito a tasso zero, guarda ad un controllo profondo

dei paesi che aiuta, generando enormi affari per le sue aziende, in particolare per quelle di

costruzione che hanno trasformato buona parte dell’Africa in un cantiere per rotaie, strade,

dighe, stadi, edifici commerciali e così via.

In definitiva si può affermare che il sistema sopra esposto porta il gigante cinese

all’acquisizione del debito dei paesi verso cui eroga finanziamenti. Tutto questo quadro

economico-finanziario dà l’idea della portata politico-strategica di questo progetto a lungo

termine di penetrazione sempre più capillare in un continente come quello africano

ricchissimo di risorse energetiche e materie prime. Assommato agli altri contesti globali che

vedono la Cina protagonista emergente in tutta la sua forza, ne fanno una potenza in grado

di esercitare una reale e duratura egemonia mondiale nei prossimi decenni.

Alessandro Loreto,

Ruben Giavitto