News dal Dipartimento Geopolitica

Il ballo del

tipTAP

        Conte e Di Maio sembrano Ginger Rogers e Fred Astaire impegnati in un balletto di successive e contraddittorie dichiarazioni per giustificare il proseguimento del TAP, ossia del Trans Adriatic Pipeline. Dopo aver cavalcato, con l’obiettivo di ottenere facili consensi, l’onda di una protesta giustificata soprattutto dall’arroganza con cui è stata gestita l’opera dai governi precedenti, che non hanno debitamente informato e coinvolto nelle scelte i connazionali, tali dichiarazioni servono, appunto, per giustificare una scelta obbligata e ineludibile. Non dimentichiamo inoltre che il percorso ha passato tutte le verifiche ambientali ed è stato scelto anche perché l’opzione più a nord andava a intaccare le praterie di posidonie dei fondali attraversati. Tutta colpa di Conte e di Maio? Assolutamente no. Hanno ereditato una situazione comunque già compromessa.

        I governi precedenti hanno giocato malissimo e con arroganza la carta TAP. Non hanno innanzitutto reso partecipe la popolazione sulle implicazioni di questa opera, non li hanno consultati per arrivare a un piano condiviso, non hanno lasciato opzioni sul percorso della realizzazione.   Tutto sommato venire incontro ad eventuali richieste locali su marginali deviazioni del percorso o su dove installare le centrali di compressione, cioè cifre di pochi milioni di euro, vista la posta in gioco, avrebbe inciso relativamente sui costi totali, tenendo presente anche i costi stessi delle continue interruzioni dell’opera e dell’apparato delle forze dell’ordine schierato. Vedersi improvvisamente arrivare uno spiegamento degno di qualche film hollywoodiano catastrofista o di invasioni aliene non può che aver esacerbato gli animi anche della parte di popolazione più possibilista sul compromesso. Insomma, lo stato non ha minimamente applicato la convenzione Aarhus sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, convenzione ratificata il 16 marzo 2001. Che fare allora?



        Prima di tutto l’attuale governo non dovrebbe agire con ipocrisia nascondendosi dietro a supposte penali, ma chiarire alla popolazione qual è veramente la posta in gioco, spiegare bene che i vincoli ambientali sono stati rispettati e ripagare l’arroganza precedente con vantaggi in termini fiscali per qualche anno sulla popolazione coinvolta o in termini di realizzazione di opere di pubblica utilità nella zona stessa. Per esempio potrebbero mettere sul piatto la trasformazione della centrale elettrica a carbone in centrale a metano, centrale da alimentare proprio grazie al TAP. È lo stesso tipo di “compensazioni” attuato dal governo francese su opere di ben più alto, direi imparagonabile, e pericoloso impatto ambientale come le centrali nucleari. Questo probabilmente ridarebbe fiducia nelle istituzioni, ridurrebbe la protesta a pochi irriducibili e non pregiudicherebbe quei voti ricercati e cavalcati con molta superficialità, probabilmente ignoranza, sulle reali poste in gioco.

        Ci si chiede però, al netto di quanto scritto sopra, cioè dell’arroganza e delle responsabilità dei precedenti governi, come mai proprio otto Km di TAP (con 35.000 di varia portata già presenti in Italia) abbiano avuto così clamore. Eppure nella zona ci sono problematiche di abusi edilizi, poco a nord c’è una centrale a carbone che è una delle più inquinanti, c’è pure un carbodotto, sì, una pipeline che porta carbone, tremendamente ben più potenzialmente inquinante di un metano che sta dieci metri sotto terra. C’è qualcuno che ha giocato e fomentato la pur capibile e giusta, per quanto riguarda i modi d’intervento, protesta della popolazione locale? Alcune delle entità che più in là nomineremo, fin dal dopoguerra, sono dei maestri per quanto riguarda la propaganda e influenzamento, e i mezzi attuali di comunicazione sono un terreno ideale per questo. Non sarebbe la prima volta.

        Quindi tanto vale rinunciare al TAP? Assolutamente no, fatte salve le correzioni precedentemente descritte.

        Ma perché il TAP è così necessario? Quali sono le vere ragioni per cui un governo minimamente responsabile deve portare avanti l’opera? Bisogna partire da lontano per avere un quadro completo della situazione.

        Non è vero che il petrolio si sta esaurendo, abbiamo riserve accertate per almeno 100 anni. È stata propagandata la supposta penuria solo per motivi puramente speculativi. Il consumo di petrolio però, grazie alle trasformazioni che si evidenzieranno nei prossimi decenni in maniera sempre più rapida, (auto elettriche, a metano, energie rinnovabili) sarà destinato tra qualche decennio ad avere una costante decrescita, tanto da portarlo ad avere il ruolo residuale oggi coperto dal carbone. Una delle cause della recente rapida decrescita del prezzo del greggio è stato proprio il tentativo, fallito, di un gruppo di paesi di accaparrarsi la maggior parte delle vendite di questa fonte energetica prima della conseguente diminuzione dei consumi, cioè quello di avere il massimo profitto nel minor tempo buttando fuori i concorrenti. Ma questa è un’altra storia. Non così il gas, il cui consumo tenderà ad aumentare nel corso degli anni, (in Europa resterà costante ma si esauriranno le riserve interne che coprono un po’ meno del 20% del consumo) anche perché, in parte, andrà a sostituire proprio il petrolio, nonché il carbone. Ricordiamo che il gas è una fonte energetica molto meno inquinante del petrolio o del carbone, e viene considerato una fonte di transizione all’affermazione delle energie rinnovabili e alternative e che comunque, probabilmente ancora per parecchi decenni, sarà indispensabile anche per evitare problemi inerenti a carenze di capacità delle rinnovabili dovute a eventi climatici e/o picchi di utilizzo (come recentemente avvenuto in UK). L’industria pesante, oltretutto, è, e sarà per un lungo periodo, ancora legata alle fonti fossili a differenza di quella leggera o dell’utenza domestica, proprio perché ad alta intensità di utilizzo e soggetta a picchi di richiesta. In più, come già accennato, l’Unione Europea dovrà provvedere a un calo di produzione interna di circa 80 bcm all’anno, fin dai prossimi anni.

        Il TAP serve proprio per diversificare l’approvvigionamento di gas dell’Italia in particolare e dell’Europa.

        Il TAP è l’ultimo tratto di un gasdotto che parte da Baku, passa la Georgia, attraversa la Turchia (TANAP, Trans ANAtolic Pipeline) passa in Grecia e attraverso l’Albania entra in Italia. Il percorso sottomarino nel Mar Adriatico è di 104 Km e in terraferma italiana di circa 8Km. Il tubo in terraferma ha un diametro di 1,22 metri e uno spessore di 26,8 mm. Con spessori di 25 mm o maggiori non si sono mai verificati incidenti. Il tratto terrestre italiano del TAP sarà interrato a una profondità di 10 metri. Con una terza stazione di compressione il gasdotto potrà erogare fino a 20 miliardi di metri cubi l’anno (20bcm).

        A discapito di quanto affermato da fonti no TAP il consumo di importazione di gas in Italia è aumentato di circa il 6% dal 2005 al 2015. Il consumo annuale di gas in Italia è di circa 75 miliardi di metri cubi (75bcm).

        Il consumo a livello dell’unione Europea è stato di 491 bcm nel 2017 con un aumento di circa il 6% rispetto all’anno precedente.

        Il maggior paese esportatore di gas verso l’Italia è stata la Russia con circa il 45% del totale, percentuale maggiore della media delle importazioni europee che è sotto il 40%. Questo fattore ci rende esposti più di altri a possibili perturbazioni sugli approvvigionamenti dovuti a crisi regionali, ricatti economici, turbamenti geopolitici. Non dimentichiamo che il gas russo deve passare regioni come l’Ucraina (ricordiamo i profondi attriti e la crisi tra i due paesi) e che la stessa Russia in inverno potrebbe giocare in futuro il fattore gas come arma di pressione, anche se per il momento non ne ha minimamente intenzione, visto che quegli introiti servono a mantenere la sua economia. Analogo discorso dovrebbe essere fatto per l’Ucraina stessa che potrebbe giocare quella carta come arma di pressione sia verso la Russia che la UE, se gli equilibri mutassero. È intuitivo che è essenziale per l’indipendenza energetica e politica di un paese diversificare sempre più le proprie fonti energetiche o perlomeno legarle ad aree affidabili, geopoliticamente sicure, qualunque sia il paese in questione, foss’anche un alleato di ferro. Il principio della diversificazione dei fornitori vale sia per una nazione che per una qualunque industria.

        Qualcuno, non a torto, potrebbe obiettare che sostituire parte delle importazioni dalla Russia e da altri paesi (Algeria a esempio), con quelle del Mar Caspio risolverebbe solo in parte il problema, poiché rischierebbe di farci cadere dalla padella alla brace. È parzialmente vero 

poiché attraverserebbe l’Azerbaijan, comunque sotto l’influenza Russa, la Georgia e la Turchia, sempre più distaccata dalla Nato e in avvicinamento alla Russia stessa, prima di arrivare in Grecia. Ma, come si vede nei film, facciamo una sequenza che ci porta a innalzarci e a osservare cosa sta intorno al TAP, al suo futuro, qual è il contesto, molto più vasto, in cui è collocato, e che ben pochi al di là degli addetti ai lavori e di certa stampa specializzata conoscono. Questo futuro ha i nomi di Tamar, di Zhor, di Aphrodite, Calypso, Noor, di Leviathan… di block 1…13. Cosa sono questi nomi evocativi? Megagiacimenti di gas al largo delle coste egiziane, israeliane, cipriote, greche. Giacimenti talmente grandi da poter quasi assicurare l’indipendenza energetica italiana. Perché indipendenza energetica? Perché l’Eni si è aggiudicata una grossa fetta, forse la più grossa, di sfruttamento energetico dell’area. (anche se rischia di venir ridimensionata a causa dei rischi geopolitici come descriveremo in una successiva analisi: l’affaire Saipem 12000 docet) Questo vuol inoltre dire approvvigionamenti relativamente sicuri (ma a certe condizioni), non sottoposti a eccessive oscillazioni di prezzo e ricatti economici e quindi significativamente meno cari, cioè nostri portafogli meno svuotati, bilancia commerciale migliorata, PIL…        Ma quanto grandi sono questi giacimenti? Il potenziale stimato è di 15Tcm cioè trilioni di tonnellate, tali da soddisfare, se sfruttate tutte, le esigenze della UE per 35 anni o quelle della singola Italia per 200 anni, cioè il totale del gas è di una quindicina di volte quello importato dal Caspio via TAP. Quindi l’Europa, e in particolare l’Italia, si troverebbero le risorse energetiche letteralmente alla porta di casa se non all’interno (Grecia e Cipro). Questo gas può essere trasportato in due modi: per nave in forma di GNL (gas naturale liquido), o per pipeline. I costi del GNL però possono incidere fino al 50% sui costi totali del gas, ha un impatto ambientale maggiore (le navi consumano…), bisogna creare i tanto vituperati (a torto) rigasificatori; va da sé che è preferibile il trasporto via pipeline. Quindi è in progetto un gasdotto che da Israele passerà per Cipro e Creta per poi arrivare in Grecia e in Italia per ricollegarsi in parte proprio con il TAP, che verrà a far parte di un vero e proprio HUB del gas. Probabilmente ci sarà un collegamento anche con l’Egitto. (MarcoFlorian South Est Med Energy&Defence)

        Per capire l’enormità dell’investimento e delle cifre in ballo bastano forse questi numeri: 

il gas per bcm ci costa circa 210 milioni di euro, il costo totale annuo delle importazioni è attorno ai 16 miliardi di euro, il valore del solo Zhor viene valutato attorno ai 100 miliardi di euro, con un margine di circa 10 miliardi. Calypso (block 6 di Cipro) avrà una capacità analoga di Zhor, Noor si reputa abbia una capacità tripla. Questo solo per tre dei principali giacimenti. Eni è la compagnia che fino a ora ha i maggiori diritti di sfruttamento nella zona, e ha investito una cifra che si aggira tra i 15 e i 20 miliardi, le altre compagnie principali sono Total, Exxon, Shell e i Coreani. Exxon, quindi gli Usa, probabilmente avrà il block 7 (potenzialmente il maggiore di tutti) poiché questo garantisce a Cipro una sorta di protezione contro le mire espansionistiche della Turchia. (MarcoFlorian Mediterranean&Balcan Integration).

        Probabilmente d’ora in avanti saranno favorite proprio le compagnie di quegli stati che potranno garantire una certa sicurezza all’Isola.   Si può facilmente immaginare quanto questo possa incidere su bilancia dei pagamenti, PIL, entrate dello stato sotto forma di tassazione… una manovra economica di quelle pesanti alla fine, quindi quanto possa contribuire a influire sul portafoglio di ognuno di noi.

        Il TAP quindi è solo parte di un progetto e di un sistema che è molto più grande e sofisticato di quanto a primo acchito possa apparire, anzi, viste le prospettive, la sua portata sarà presto inadeguata e probabilmente dovrà essere ulteriormente potenziato. Quindi il governo non poteva far altro che avallare tale progetto, la scelta opposta sarebbe stata decisamente autolesionistica per gli interessi dell’Italia, al di là delle questioni penali o meno, che francamente a questo punto sono del tutto irrilevanti, visto quanto appena scritto. L’unica alternativa al TAP sarebbe il GNL, ma abbiamo visto sopra quanto questa soluzione non sia conveniente.

       È un progetto che però trova molti ostacoli geopolitici, perché va a rompere numerosi equilibri consolidati e suscita molti appetiti, e quindi può fomentare azioni sottobanco tendenti a favorire un suo fallimento viste le cifre in ballo solo parzialmente sopra descritte. Va a fare concorrenza a North Stream e specialmente a North Stream 2, il gasdotto che dalla Russia, passando sotto al Baltico, arriva direttamente in Germania bypassando l’Ucraina (guarda caso), ma anche la Polonia (alla faccia delle sanzioni antirusse), consolidando un rapporto ambiguo tra Germania e Russia che sarebbe tutto da approfondire nell’ottica dei circuiti controiniziatici sovranazionali; va a indebolire le possibilità di un’eventuale pressione da parte della Russia verso l’Europa occidentale e mina il volume delle sue esportazioni e del business conseguente, taglia fuori la Turchia (che oramai guarda più alla Russia e alla Cina che alla Nato) dalle opportunità di sfruttamento e in parte, come con la Russia, dalle possibilità di pressione grazie al TANAP che si collega al TAP. Se poi mettiamo nel piatto della bilancia i due megagiacimenti trovati al largo delle coste libiche che da soli sembrano raggiungere il valore dell’intero East Med possiamo capire quale sia la posta in gioco e del perché di alcune iniziative in Libia e di certe azioni apparentemente inspiegabili. E forse c'è molto altro.
Andremo in una successiva analisi ad approfondire queste complicate ma fondamentali questioni per la stessa Italia.

Nel frattempo non ci resta che sperare che questo sincopato tipTAP malamente interpretato si trasformi in un armonioso walzer o meglio in una trascinante e seducente taranta.