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Pasolini. Poetica e umanità, dubbio e ideale
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- Postato da Ottavio Plini
Anche la Redazione Cultura del Movimento Roosevelt, in accordo tra chi scrive ed il suo caporedattore, Sergio Magaldi, intende rendere omaggio, sia pur tanto brevemente, a Pier Paolo Pasolini? Ebbene sì, non ci interessa se ciò possa apparire conformista: atteggiamento contro cui Pasolini combatté senza cedimenti , notano già alcuni, sistematisi su un evanescente scranno, i quali denunziano per esempio la foga “popolana” che si è abbattuta sui social network contro il “povero” Gabriele Muccino, reo d’aver dato a Pasolini del regista amatoriale ed avergli imputato il successivo proliferare di dilettantismo nel cinema – si tranquillizzi Muccino, anche Orson Welles ebbe a dichiarare: <<Lui è un dilettante: i film di Rossellini provano semplicemente che gli Italiani sono degli attori nati e che in Italia basta prendere una macchina da presa e metterci delle persone davanti per far credere che si è registi>>. Una sciocchezza è una sciocchezza sia che la proferisca uno dei padri nobili del cinema moderno, sia che la proferisca Muccino, poi certo se la proferisce Muccino scaturirà l’impulso sacrosanto a punzecchiarlo sul confronto col mostro sacro contro cui imprudentemente, nonché impudentemente, ha esibito le sue esegesi (un mio giovane amico regista, peraltro, assicura che, avendo risposto sul profilo di Muccino con un commento scevro da insulti o improperi, ma facendo presente quelle che riteneva le qualità poetiche e stilistiche del cinema di PPP, è stato prontamente censurato: dunque vada immediatamente falsificata la tesi dello stesso Muccino secondo cui egli si sarebbe semplicemente difeso da una totalità di attacchi esclusivamente barbari e incivili). È gioco troppo facile, tanto da apparire un tantino in malafede, quello di dire che, se Pasolini era ferocemente anticonformista, oggi meglio si renderebbe onore alla sua memoria proprio nell’atto di contraddire il conformismo che lo incensa (senza dire che a tanti tocca in sorte di venir ripensati dopo, e così capiterà ad alcuni contemporanei; è, mi si passi l’espressione, nell’ordine delle cose).
Nel modestissimo parere di chi scrive, semplicemente, Pasolini è ormai assurto alla dimensione del classico, e i classici si commentano a margine, non si discutono.
Artista poliedrico, capace di traslare la sua ispirazione letteraria e poetica in un cinema che colpisce e conquista molto più di tante altre espressioni cinematografiche magari tecnicamente un poco più perfette ma povere d’anima, su di lui si potrebbe dire a lungo anche per quel che concerne il suo pensiero. Mentre v’è chi intravede in lui un antesignano di quell’antipolitica che si rifugia poi prontamente nell’esercizio dell’indignazione, diremo semplicemente ch’egli, collocatosi nella sinistra comunista, non si fece poi problemi ad esprimere posizioni politiche oggi tremendamente inattuali, quali la sua condanna dell’edonismo di massa, o addirittura la sua contrarietà rispetto a divorzio ed aborto. Posizioni scomode, certo, ma, mi pare, dettate dal suo intento di invitare sempre e comunque tutti gli esseri umani ad una riflessione autonoma: provocatorio, mai accodandosi alla moda del momento, ma inducendo a coltivare in interiore homine le proprie vere disposizioni di pensiero – sviluppando così una coscienza differenziata rispetto al soggetto meccanicizzato che un potere dai fini ambigui vorrebbe. Infatti, rifiutando egli le categorie della consolazione e della speranza, ci pone ancor oggi innanzi alla nostra condizione esistenziale con le sue sterminate debolezze, invitandoci però alla più libera ed autentica espressione del nostro essere.
Non era più uomo religioso da tempo, ma forse fu, ancora, la pietas, ad indirizzarlo verso un interesse finanche preoccupato verso il genere umano: sotto un certo aspetto, a dirigere ogni sua esternazione, fu la sua amarezza contro le ingiustizie e contro la degradazione della cultura e dell’umanità.
Non era religioso, si diceva, ma dilaniato dall’amore di un Dio assente – un amore del Dio della sua infanzia e giovinezza, che da intellettuale pose poi sotto l’ombra del dubbio, pur continuando ad amare nostalgico un’idea, una cultura, che non c’erano forse più fuori di lui e forse neanche dentro di lui. Di quell’assenza rimpiangeva la purezza, facendo della purezza violata una delle sue principali ossessioni artistiche e filosofiche. Rimanere innamorati di un’assenza è certo una delle più terribili condanne, e, sembra a volte, da ciò che egli dichiarò, che proprio in tal modo non gli riuscisse di amare naturalmente quanto è invece qui presente, l’umanità – odiava, lo ammise ripetutamente, la cultura media, la cultura piccolo-borghese ed i suoi esponenti. Eppure, si diceva, nel sentire la propria lontananza da certa umanità, egli è rimasto sempre devoto ad un ideale veramente grande, innocente, di uomo – ovverosia l’ideale, anche, di un uomo non più schiavo di un potere deviato, la cui martellante presenza egli intuì con un certo, notevole, anticipo.
Potrebbe essere opportuno chiudere con una sua definizione di progressismo:
<<Lo sviluppo è in antitesi col progresso. E io sono per il progresso. Lo sviluppo, propugnato dalle destre economiche, consiste nella produzione e commercializzazione di beni superflui. Il progresso consiste nell’acquisizione di beni necessari e utili.>>
Ciò detto, può darsi che rimarrà il mistero – non parlo della sua fine che qui assolutamente non affronteremo –, il suggestivo mistero del senso delle intuizioni forse sublimi che sempre, con metodo provocatorio, volle instillare nelle orecchie di un’umanità troppo sicura, perché già troppo telecomandata.
(Articolo del 9 novembre 2015)