News dal Dipartimento Beni Culturali

I pellegrini dell umanesimo 0bec9
L'uomo occidentale transita per un labirinto, senza uscita, senza inizio, e, forse, come in L'anno Scorso a Marienbad di Resnais, “senza che il rumore dei passi giunga alle sue orecchie”: sovente, infatti, non ha neppure contezza di andare. Come vi sia finito non sa. Mentre, in questo vagare, si fa opprimente in lui la sensazione di essere precipitato nel più inesorabile dei sistemi, ove non si scorge una traccia d'un disegno generale, e la “commissariata” conduzione della polis si limita alla banalità di qualche polemica, di qualche questione amministrativa, mentre i grandi processi che coinvolgono la sua vita sono in mano a misteriosi e imperscrutabili meccanismi tecnocratici; e frattanto, la presente viene esibita come l'età dell'individualismo più egoista ed edonista, quell'individualismo neoliberista sul perdurare del cui paradigma, pur avendo esaurito ogni illusione che potesse aver prodotto, il nostro Movimento si pone con atteggiamento ben poco velatamente critico.

L'uomo è nel labirinto, e non v'è fondamento al suo trovarvisi; e il labirinto si richiude su di lui.

Per Heidegger, un millenario processo di metafisica ricerca del Principio ha provocato l'entificazione dell'Essere, e così il suo oblio: anche l'Ente Perfettissimo è un ente, e ignoriamo cosa sia essere. Mentre, nelle immagini del pensatore tedesco, lungo il nostro cammino cerchiamo una radura, siamo gettati nel velamento più denso dell'Essere, secondo le modalità della Tecnica e dell'Esperienza Vissuta: mentre la prima, come figura di alienazione e reificazione dell'individuo, si fa più pervasiva e il suo rumore via via più impercettibile, si cercano esperienze, si vivono esperienze, in un'altra figura di inautenticità. L'uomo resta alienato a sé.

A parere di chi scrive, Proust è il grande rimosso della storia della filosofia occidentale; perchè filosofo egli era, sebbene capace di dissimularlo abilmente. Se il neoplatonismo dell'esperimento Contre Sainte-Beuve fornisce qualche indizio in proposito, non tragga in inganno l'incipit della sua immane “Ricerca” (“Longtemps, je me suis couché de bonne heure”), che invero già introduce una lunga disquisizione sul Tempo, sui Tempi, dei soggetti e degli oggetti, sulla Durata. In Proust non si compie solamente una <<visione […] dalla parte dell’individuo e della sua irriducibile diversità […] che le ragioni dell’autoconservazione, della Storia, dell’utilitarismo dominante, tende a rimuovere e a cancellare>>, come scrive Mariolina Bongiovanni Bertini, in Proust si realizza la più radicale nobilitazione dell'individuo nel suo trovarsi al mondo, sotto un tratto profondamente estetizzante. Credo vi sia ben poco da aggiungere a quelle parole, che traggo dal volume V:

<<Quando la visione dell’universo si modifica, si purifica, diviene più adeguata al ricordo della patria interiore, è naturale che questo si traduca in un’alterazione generale della sonorità nel musicista, come del colore nel pittore […]

Quella patria perduta, i musicisti non la ricordano, ma ognuno di loro rimane sempre inconsciamente accordato in un certo unisono con lei […] quando intona quel canto singolare la cui monotonia – poiché qualunque sia il soggetto trattato rimane identico a se stesso – prova in egli l’immutabilità degli elementi che compongono la sua anima. Ma allora, questi elementi, tutto questo residuo reale che siamo costretti a tenere per noi stessi, che non è nemmeno possibile trasmettere conversando tra amici, tra maestro e discepolo, tra due amanti, quest’ineffabile che differenzia qualitativamente ciò che ognuno di noi ha sentito e che è costretto a lasciare sulla soglia delle frasi, dove non può comunicare con gli altri se non limitandosi a dei punti esteriori comuni a tutti e senza interesse, non è forse l’arte, l’arte di un Vinteuil come di un Elstir, che lo mette in luce, esteriorizzando nei colori dello spettro la composizione intima di quei mondi che chiamiamo gli individui, e che senza l’arte non conosceremmo mai? Delle ali e un altro apparato respiratorio che ci permettessero di attraversare l’immensità degli spazi non ci servirebbero a nulla perché, se andassimo su Marte o su Venere conservando gli stessi sensi, questi darebbero a tutto ciò che ci fosse dato di vedere l’identico aspetto delle cose della Terra. Il solo autentico viaggio, il solo bagno di Giovinezza, non sarebbe nell’andare verso nuovi paesaggi, ma nell’avere altri occhi, nel vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, nel vedere i cento universi che ciascuno di loro vede, che ciascuno di loro è; e questo è possibile farlo con un Elstir, con un Vinteuil, con i loro simili; allora voliamo veramente di stella in stella>>.

Occorreva solo più innalzare, come le colonne di un tempio, a principio indistruttibile, le dignità e le libertà di quella totalità di individui che chiamiamo umanità, che conoscere, e col loro reciproco conoscersi, nelle sfumature più intime della loro anima, varrebbe più che esplorare spazi interstellari.

Il vivente diveniva motore del Tempo, in luogo di un astratto, hegeliano, spirito dei popoli o delle masse quale movente della Storia. Questo la Tecnica non poteva concepirlo, e ha relegato Proust, come filosofo, nell'oblio.

Il vivente vaga per questo labirinto, ma quand'anche non vi fosse meta, potrebbe trasformarlo in Giardino delle Delizie, fuori del Tempo degli oggetti, sotto l’egida della propria libertà di ricerca e di espressione.

(articolo del 1 settembre 2015)

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