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le spropositate remunerazioni dei manager come nodo politico


kabbalahkuno d5e26In preparazione dell'Assemblea Generale Movimento Roosevelt del 30 aprile 2016, nel discutere il testo di un documento che porteremo per la discussione e il confronto, propongo uno stralcio che attiene al tema del ruolo delle sproporzionate retribuzioni dei manager nella strategia neoliberista di smantellamento del welfare state.  L'emergere delle modalità truccate su cui gira il mondo, dai "Panama Papers" in giù, fino ad arrivare alle beghe governative che hanno reso manifesta la dipendenza del governo nazionale dal business delle corporations del petrolio (il caso Tempa Rossa e la querelle dell'ex ministro Guidi) e giù giù via con le corruttele fino al livello più micro. Tutto questo ha fatto gridare il nuovo presidente dell'ANM (l'associazione nazionale magistrati), Pier Camillo Davigo, "La classe dirigente che delinque fa più danni dei delinquenti di strada", tesi alla quale senz'altro aderiamo: perché si può perdonare chi delinque per la disperazione e il bisogno, ma non chi lo fa partendo da posizioni di privilegio e per pura avidità.

Per quanto questo dovrebbe essere ovvio, tuttavia il sistema della classe dirigente italiana ha fatto quadrato in rapporto a questa affermazione, qualificandola come "inopportuna" e riduncendola nei titoli della stampa di regime a un attacco all'autonomia della politica e non, come acutamente ha fatto Davigo, all' "intera classe dirigente" e dunque ai vertici politici, amministrativi e imprenditoriali. A tal proposito, ci sembra opportuno spiegare un po' meglio quale sia il behemot tra politica, amministrazione e imprenditoria e perché, come sempre, il suo legame di sangue è dato dai soldi.

Il nodo "retribuzioni dei manager" è cruciale perché rappresenta la risposta di sistema al terremoto "mani pulite" del '92-'93: quando i politici vennero messi alla gogna per la loro corruzione, venne elaborato un antidoto. La "Legge Bassanini", forzando il principio montesquieiano della "separazione dei poteri" (che riguarda esclusivamente la separazione tra legislativo, esecutivo e giudiziario"), inventò una separazione tra "indirizzo politico" e "gestione": in questo modo, da allora i politici si limitano a dare l' "indirizzo politico" (cioè la valutazione se fare una cosa, che non ha riflessi penali), mentre ai manager viene data la gestione (la scelta del "come" fare la cosa indicata, con la conseguente titolarità sulle procedure di appalto e gestione dei soldi, che hanno evidenti riflessi amministrativi, civili e penali). Quale il modo per far sì che i manager siano obbedienti alle "necessità" della politica? Semplice: basta tenerli sotto scacco, con contratti a tempo determinato e potere di revoca.  Gli stipendi sproporzionati servono poi ad affievolire e zittire ogni tentativo di "interesse pubblico", che diventa cedevole rispetto alla conservazione del proprio individuale privilegio. Inoltre, gli stipendi così alti servono anche da assicurazione in rapporto ad eventuali "inciampi" in avvisi di garanzia e processi penali "per reati contro la pubblica amministrazione".



Il punto è molto importante per la corretta interpretazione dei fatti: perché si parla sempre delle responsabilità della politica, e non si vede la parte della gestione manageriale che, proprio a causa della dimensione sporporzionata che hanno raggiunto gli stipendi dei manager, è diventata un semplice sottobosco della politica, un troiaio ricattabile e sempre esposto alle ragioni del "dante causa", cioé di chi ha messo il dirigente-burattino in quel posto e con quella paga (e che, in ogni momento, ha potere di revocarlo e sostituirlo con un altro burattino più malleabile). Quindi, chi occupa quelle posizioni, deve firmare ciò che il suo "dante causa" (chi lo ha messo lì) gli chiede. Se protesta, viene revocato. Qual è il vantaggio? La paga altissima. Qual è il rischio? Nelle posizioni di vero vertice, la firma su qualcosa che scotta. La paga è talmente alta da garantire comunque l'impunità, da comprare al momento opportuno con trucchi legali usualmente praticati da avvocati di grido (dilazioni, slittamenti procedurali, e finalmente il traguardo della prescrizione di reato).

La sproporzione nei salari e l’insostenibile stratosferico livello degli stipendi dei manager pubblici e dei grandi gruppi privati serve infatti non a garantire standard di qualità alti, ma a pagare i costi della corruzione, così che quando si troveranno di fronte alla legge per aver firmato ciò che non si poteva, avranno il danaro per pagare i migliori avvocati che garantiranno loro quei rinvii e quegli slittamenti procedurali per giungere alla prescrizione dei termini e dunque all’impunità. La legge non è uguale per tutti: chi ha il danaro può comprare i trucchi legali che garantiscono l’impunità.

Su un terreno squisitamente manageriale, tutti ricorderanno il caso Moretti, il dirigente delle Ferrovie dello Stato che guadagnava più di tre volte quel che guadagna il Capo dello Stato: e tutto questo in un Paese dove i treni sono in una condizione di deriva, dove il rapido Taranto-Ancona è divenuto canzone da barzelletta e da Palermo a Catania occorrono cinque ore.  Sul piano criminale e penale, un altro caso è da ricordare, per la sua perfida malignità: la vicenda del direttore dell’aeroporto di Palermo, numero due dell’antimafia siciliana, colto in flagrante a fare da percettore di mazzette (considerando gli infiniti esempi di mala gestione italiana forse potremo evitare di inserire questo pezzo per non appesantirlo ulteriormente)

Quanto agli esempi (Moretti ed Helg), non mi affeziono al passaggio, lo possiamo tranquillamente considerare nulla più di quel che è: un esempio nel mare grande della dell'inefficienza (Moretti) e della corruzione (Helg), anche se va conservata la dimensione di chi vuol fare un battaglia per il cambiamento che non sia astratta, ma concreta. In questo modo, l'argomento conferisce al documento uno squillar di trombe, il tono di battaglia di chi ha individuato il nemico: il supermanager garante dell'inefficienza del sistema (Moretti) e la finta antimafia che colleziona mazzette (Helg). In politica, il nemico è importante, perché individuare contro chi sei significa stabilire la direzione di marcia e raccogliere consensi di protesta (consiglio di leggere Alberoni sulla differenza tra movimenti e partiti). Rispetto al "rischio querela" dei controinteressati, segnalo che quella su Moretti è una valutazione politica (la sproporzionata misura della retribuzione, priva di rilievo penale), mentre sul caso Helg sussiste flagranza di reato.

Questo ineradicabile sistema ha radici profonde, le stesse radici in cui c'è la soluzione (evidente ma sempre celata) della morte di Mauro Rostagno e di Ilaria Alpi, e cioè il nesso di questo military industrial complex all'italiana, dove pezzi delle istituzioni e dell'esercito (Gladio) hanno gestito spazi locali (Skorpio) per fare affari internazionali illeciti (traffico d'armi e di droga), con la copertura della criminalità organizzata locale e con una saldatura politica operata attraverso compenenti massoniche che con la metafisica non hanno niente a che vedere (se non fosse che la metafisica è aperta verso l'alto ma anche verso il basso). Il modello Gladio riguarda gli anni '90, adesso le cose saranno cambiate ("Mafia capitale" dimostra che sono cambiati gli interlocutori, ma non i metodi) e tutto questo dovrebbe far riflettere.

A proposito dei "Panama Papers", annotiamo che TIME (18 Aprile 2016), con un articolo a pagina 7, ha definito "la personificazione dell'1% della popolazione che comanda il mondo, quell'intrigo di oligarchi, grandi imprenditori, grandi usurai, celebrità, magnati del petrolio, delle armi e della droga, capi di stato che comandano il mondo. Ciò che è tremendo è che il mondo sottostante è comandato a bacchetta e fa a gare per fornire nuovi burattini da mettere nei posti decisionali per permettere al sistema di continuare a replicarsi secondo la "Legge di Malkuth".

Potremo mai, con una nuova visione insieme politica e spirituale, ritornare alla Ragione che intendeva la storia come regno sensibile delle "umane sorti e progressive"? Potremo mai ripulire i termini "liberale" e "socialista" delle loro sozzure? 

Le istanze liberali e sociali sono state le molle del progresso e dello sviluppo, ma oggi sono insozzate da loro falsi sinonimi che ne inquinano il senso: così liberale (cioè "aperto, volto alla libertà individuale nel rispetto della libertà altrui") è divenuto liberista (cioè "privo di freni statali, sistema che afferma la legge del più forte in economia"), così come "socialista" è divenuto sinonimo di "corrotto, affarista, affamatore del popolo".

L'esatto contrario di quel che hanno significato queste parole nei secoli XIX e XX, quando erano parole d'ordine per l'emancipazione dei popoli e il risveglio della coscienza. Anche la massoneria, che di queste idee politiche è stata grande ispiratrice, oggi ne è lontanissima e i suoi riti e le sue obbedienze appaiono desiderose di fare, ben più che l'Opera del Grande Architetto, qualche opera minore come il sacco del Monte dei Paschi e per il vantaggio di qualche arconte intermedio. A quando una nuova ondata di modernismo liberalsocialista? E fino a quando il perbenismo ottusamente borghese continuerà a chiudere bocche, orecchie ed occhi ala comprensione vera dei fenomeni?

[Ringrazio Fabrizio Mana, che ha determinato la necessità di un miglior chiarimento del tema e spero questo articolo ne costituisca miglior approfondimento e comprensibile spiegazione del nodo politico "retribuzione dei manager"].