Indicato Caporedattore della Redazione “Politica/attualità”*, vorrei da subito configurare quest'area come luogo aperto di dibattito e di formazione per coloro i quali vorranno contribuire con i loro interventi e con i commenti che seguiranno.  
In linea con le idee manifestate dal Presidente e dal Segretario Generale, le Redazioni si configurano come strumenti al servizio di quello che potremmo definire "lo spirito di Perugia", e cioè una dimensione assembleare permanente, che trova nel sito il suo luogo virtuale di dibattito e aggiornamento costante, soprattutto orientato a un'idea di informazione che è di valutazione critica rispetto ai modelli ancora egemoni della televisione e della stampa, ma senza mai trincerarsi dietro altri dogmatismi e mantenendo un profilo di apertura a idee e soluzioni inclusive, purché siano attendibili e dimostrabili secondo i metodi delle scienze sociali.
Come protocollo di stile, è da sottolineare che il carattere "inclusivo" non può essere confuso con un orientamento ad assorbire tutto.  In questo senso, il sito è strumento principe della comunicazione del Movimento Roosevelt, che dispone naturalmente anche di altri tools come, ad esempio, il blog e la ricca messe di pagine regionali e gruppi tematici sui social network.  Ma se Facebook viaggia alla velocità della lancetta dei secondi, allora il blog sarà la lancetta dei minuti e il sito quella delle ore, che apparentemente non si muovono e che invece scandiscono il tempo nella sua densità più reale e più vera.  
Come affermato, il nostro sguardo verso la politica e l'attualità non contiene una pretesa di verità, non abbiamo dogmi da imporre.  Al contrario, abbiamo interesse per idee diverse dalle nostre, voltairianamente siamo pronti ad agire per affermare il diritto di ciascuno ad esprimere idee, persino quelle con le quali non siamo d'accordo. Manteniamo però il segno di una identità rooseveltiana, volta all'emancipazione sociale e al progresso, materiale e spirituale: e intendiamo questi come valori non negoziabili.
Non abbiamo nemmeno la pretesa di cambiare il mondo: la rosa ha le sue spine e lo stelo s'incrocia al legno.  Abbiamo la forza delle idee.  L'obiettivo consiste nel costruire la rete di intelligenza sociale che è il sistema nervoso del Movimento Roosevelt, immaginando noi stessi, ciascuno di noi, nella città in cui vive, come fossimo neuroni accesi dentro un cervello in cui molte aree non sono ancora sufficientemente illuminate, e che dobbiamo contribuire a risvegliare.

Partendo da questa metafora - le città come cervello, le persone come neuroni - propongo di seguito questo articolo che prende in analisi proprio i luoghi dove la vita si svolge, le città: e dovremo partire dal terribile stato di destrutturazione in cui tre decenni di politiche neoliberiste le hanno ridotte, per tentare di comprendere cosa c'è di vitale e cosa si può fare per interromperne il degrado e restituirle ad una accettabile razionalità.
 


Città senza funzione sociale. Come siamo arrivati a questo punto?
di Davide Crimi*


§1.  Il disastro neo-liberista nelle politiche urbane

Dal punto di vista delle città, le politiche neo-liberiste hanno costruito ogni genere di artificio per strangolare la dimensione pubblica di costruzione sociale, trasformando gli operosi formicai risorti dalle due tremende guerre del secolo scorso con una logica di rapina che ha distrutto e continua a distruggere le conquiste sociali.  Il risultato, è evidente e sotto gli occhi di tutti, anche se continuiamo a non accorgercene persi in un sonno d'oblio e aggrappati a segnali di propaganda che ci fanno intravedere una "ripresa" lontana.  Di fatto le città disgregate hanno ormai consegnato le loro insegne ai centri commerciali e ai signori della grande distribuzione, i padroni remoti delle nuove periferie dell'impero, coloro che hanno trasformato le città in tane di roditori del consumo.

Questo processo riguarda l'intero sistema occidentale.  In Italia, il modo in cui il processo di de-costruzione sociale della città è stato realizzato ha di fatto calpestatouna delle eccellenze teoretiche l'urbanistica, che era stata concepita per assicurare standard edilizi idonei ad assicurare ad ogni persona il diritto di disporre di servizi di cittadinanza - l'istruzione, il verde, la socialità pubblica - coerentemente ai principi costituzionali alla primazia dell'utilità pubblica, in base al principio costituzionale che la proprietà privata è meritevole di tutela sole se persegue funzioni sociali.

Condoni, deroghe urbanistiche (tipici dei governi di centro-destra presieduti da Berlusconi) ma anche sofisticati interventi legislativi che hanno svincolato il vincolo degli oneri urbanistici - le somme che i privati pagano in aggiunta ai costi fisici di costruzione - alla realizzazione delle opere di urbanizzazione - cioè le strutture di supporto agli edifici, allacciamenti idrici, elettrici e fognari, strade interne e quanto necessario alla vita civile - diabolico accorgimento elaborato dal ministro Bassanini (governo di centro-sinistra) che ha permesso di realizzare cemento su cemento senza servizi, mentre gli oneri di urbanizzazione, svincolati dalle opere correlate, scorrevano via come acqua minerale, per pagare consumi e spese correnti di amministrazioni fallimentari che hanno portato i Comuni nell'attuale situazione e cioè sull'orlo del dissesto (spesso anche l'orlo, appena dissimulato da finzioni politiche che tengono in vita bilanci insostenibili).

§2. Sfruttamento e rapina: gli artigli dell'aquila neo-liberista sulle città

In cima a questo scempio, maturato tra gli anni '80 e il primo decennio del nuovo secolo, si è posta poi l'invisibile e insopportabile pressione dell'alta finanza che, avendo ormai asservito l'Unione Europea ai loro interessi di lobby, ha ottenuto dai governi degli Stati membri (tra cui la solerte Italia, rappresentata in questo caso dal governo Monti) di applicare imposte sulla casa tanto inique tanto più scollegate da servizi: si paga e basta, senza aver niente in cambio.  Le tasse sono ormai un puro trasferimento di ricchezza, ma non più nel senso di giustizia sociale che emergeva dal dopoguerra, una perequazione che dalle classi più abbienti si trasferiva alle classi più deboli, con lo scopo di emanciparle e introdurle, attraverso l'educazione e l'istruzione, ad una vita più evoluta.  No, le politiche attuali vanno verso un trasferimento di ricchezza dal più povero al più ricco, generando una concentrazione della ricchezza verso pochi borghesi aristocratici e respingendo il ceto medio - la middle class che è il fulcro della democrazia - verso una classe debole che non è nemmeno una classe di lavoratori, perché non c'è più nemmeno il lavoro e che dunque non ha nemmeno strumenti per contrattare i propri diritti.

§3.  L'Eden come centro dell'Impero

La Città si manifesta come periferia fisica dell' Impero, il non-luogo in cui la vita umana è sfruttata.

Cosa si può fare?

In primo luogo, occorre ricordare che tutte le funzioni di dominio si costituiscono lungo le reti della comunicazione. Comunicare, quindi.  Rompere lo schema della subalternità.  Il punto non è tanto capire perché il popolo si ribella, ma sapere perché non lo fa.  Nei termini in cui Spinoza individuò la questione (sollevata nel nostro tempo da Reich a Deleuze): "perché gli uomini combattono per la loro servitù come se si trattasse della loro salvezza?"

In altro luogo questo tema [Il Dio dell'Eden] è stato esaminato attraverso l'analisi dell'archetipo fondamentale del lavoro e reintegrandone l'interpretazione gnostica che lo concepisce sin dall'inizio come falso argomento in funzione dello sfruttamento.

Sotto un profilo pragmaticamente politico, il punto di partenza consiste nel ripartire dai diritti fondamentali, in specie dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo approvata dall'ONU nel 1948.

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[youtube=youtu.be/DkNs0K0WZ7U]

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Da questo punto di partenza occorre ritrovare i fondamenti per una moderna produzione sociale di soggettività e di diritti.  Se il lavoro non può più essere il fondamento, allora si dovrà reclamare la distribuzione di un reddito sociale di base per tutti.  A partire da questa condizione ontologica, costituita non da un'affermazione di principio, ma dalla consapevolezza della lotta, l'obiettivo dev'essere quello di chiedere che i diritti di base siano riconosciuti a tutti gli esseri umani.

§4.  Oltre il lavoro (l'etica del lavoro al di là della dimensione materiale)

Il lavoro, per essere giusto, deve produrre utilità sociale, e non sfruttamento.  E' degno di onore rifiutare un lavoro inutile e ingiusto.  Occorre tenere a mente che il rifiuto della servitù volontaria è l'inizio della liberazione politica. Nel mondo contemporaneo, il lavoro utile può essere tipizzato in forme-base: quella primaria, volta alla produzione degli alimenti; quella secondaria, volta alla produzione dell'energia; quella astratta, intellettuale, volta a creare cerchie di cooperazione e convergenza; quella della cura alla persona.

Sul primo livello, dovremmo sapere che la produzione degli alimenti non è più un problema, in quanto le tecnologie permettono di sfamare tutti gli esseri umani, se le risorse sono utilizzate correttamente - e non lo sono, perché il sistema industriale preferisce imprimere soluzioni di sfruttamento.

Sul secondo livello, le energie sostenibili hanno già raggiunto un grado di perfezionamento tecnologico idoneo a superare le fasi del carbone e del petrolio - ma questo non avviene, perché le oligarchie al potere preferiscono continuare ad utilizzare queste tecnologie, che permettono un ricatto sociale, cosa che non sarebbe possibile utilizzando tecnologie aperte come il solare.

Sul lavoro intellettuale, si tratta di rompere l'egemonia del sistema che ha trasformato l'arte in spettacolo, assoggettandola alle regole del copyright e dello show-business.  Occorre sapere e riconoscere che occuparsi d'arte e di pensiero è un privilegio e chi ne ha il dono deve rispettare questa condizione con umiltà, ponendosi al servizio della comunità, per farsi interprete della riflessione condivisa.

Sul lavoro che attiene alla cura, l'attenzione dev'essere crescente e sottratta alla dimensione del volontariato, riconoscendo professionalità e dando valore a occupazioni tuttora ritenute irrilevanti ed invece da considerare persino sacre, avendo per oggetto i confini tra la vita e la morte nella loro applicazione quotidiana.

Si tratta, infine, di lottare contro l'Impero del Grande Fratello costruendo all'interno di esso un nuovo aggregato sociale, un Grande Fratello di idee più moderne e più nobili, che invece dello sfruttamento concepisca la compassione, cioè la capacità di provare passione insieme, di comprendere che le sorti di ogni individuo sono collegate, di riaffermare la Luce della Coscienza.

§5.  Disclaimer: utopia pragmatica e orientamenti di azione politica

Non si potrà chiudere questa riflessione senza manifestare la consapevolezza che il mondo non è fatto per la libertà, ma per la costrizione: per questo il suo simbolo è una croce chiusa dentro un cerchio, che i mistici chiamano Malkvth.  Non per questo l'utopia può essere disprezzata o ritenuta inconcludente: in essa è la speranza dell'umanità, non importa quanto delusa, essa sola è la luce che rende la vita degna d'essere vissuta.  E per far capire che siamo utopisti ma non siamo sciocchi creduloni, chiudiamo combattendo l'inganno della propaganda, che intende farci credere che le disposizioni di tutela del paesaggio, dei beni culturali e dei beni collettivi in generale sia un limite al diritto liberale della proprietà privata: ridicola menzogna di chi vuol acquistare a poco prezzo.  Al contrario, è la proprietà privata che costituisce un limite alla proprietà collettiva del popolo, e si giustifica soltanto se può dimostrare una funzione sociale.

Commenti   

0 # Proprietà privata e funzione socialeDavide Crimi 2015-05-24 23:16
Il prezioso commento (apparso sulle pagine di "democrazia radical popolare") a questo articolo, offre l'occasione per alcune riflessioni avanzate sui temi, in particolare (1) sulla grande distribuzione e (2) sull'equilibrio tra funzione sociale della proprietà privata e libertà di iniziativa economica.
In merito al primo punto, condivido tutte le osservazioni in relazione a centri commerciali e grande distribuzione, che non sono il problema in sé, ma ne diventano parte significativa se il sistema neoliberista ne fa, come di fatto avviene, un sistema estrattivo di reddito, indifferente alle produzioni locali (il tema richiede un approfondimento tematico importante). Relativamente alla funzione sociale della proprietà, su questo, piuttosto che proporre un'interpretazione, mi limito a citare i termini con cui il tema è trattato all'art. 42 della Costituzione, proprio dopo l'art. 41 che tratta della libertà di iniziativa economica privata, a conferma di un orientamento - quello dell'economia sociale di mercato - che marca il nostro sistema di diritto e che, correttamente applicato, contiene molte soluzioni alle attuali difficoltà.
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