Durante la pausa estiva, anche se non si tratta esattamente di un argomento da "sotto l'ombrellone", proponiamo questa breve riflessione, con alcuni parallelismi diacronici, sul rapporto tra Mazzini e Garibaldi. Chiaramente, il valore di questa riflessione non è nella sua dimensione "archivistica" quanto, piuttosto, nella necessità attuale di comprendere come certe situazioni e condizioni continuino ad influenzare fortemente il presente. Un particolare ringraziamento a Gabriella Toma che, con riflessioni acute e con la sua nota sensibilità, ha esortato questo scritto.

di Davide C. Crimi*
mazzini garibaldi 96be2Dei rapporti tra Mazzini e Garibaldi non so dire. Le lettere di Garibaldi, scritte di suo pugno, quelle per i discorsi pronunciati in giro per le città d’Italia dopo l’unificazione, quelle sì, le ho viste. M’è venuto il magone, sai, quel nodo alla gola che ti prende quando avverti il peso insostenibile della differenza tra quel che avrebbe potuto essere e quel ch’è stato. Non so come dire, davvero. Mi viene in mente ciò che accadde tra Federico II e Pier delle Vigne, altra era, altri luoghi, altre persone, ma la stessa intensità dei fatti, con ancor più atroce senso e realtà della tragedia, altra pagina che avrebbe potuto fare della Sicilia e del Sud dell’Italia il vero centro d’Europa e del Mediterraneo, e che invece è annegata nel sangue. Giureconsulto, Pier delle Vigne, sapete, aveva preparato per l’Imperatore Federico una riforma delle terre che, dopo la reconquista agli arabi, erano finite nella proprietà di un manipolo di aristocratici così poco numeroso da contarsi sulle dita di una mano. Tutti fedelissimi alla Chiesa, s’intende. E quando Pier redasse quel libro, il Codex Augustalis per la riforma della proprietà terriera, allora cominciarono i complotti. Si fece intendere all’Imperatore che Pier delle Vigne tramasse contro di lui, per chissà quali fini innominabili. All’inizio era un nonnulla, ma via via che la possibilità per Federico di unificare la Corona di Sicilia con l’intero sud-Italia e persino poter aspirare alla corona di Germania, lo Stato Pontificio ne trasse un terror panico di rimaner schiacciato nella morsa di cotanto nuovo Impero. Così, l’indebolimento del regno di Federico divenne un affare internazionale, e Pier delle Vigne la vittima sacrificale. Dante, testimone non lontano dagli eventi, pone Pier all’inferno, sì; ma come suicida – e non come traditore, come dice il distico: Vi giuro che giammai non ruppi fede / Al mio signor, che fu d’ onor sì degno.  Leggi l'intero articolo>>

*Autore di “Mazzini Occulto”, Atanòr.

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