News dal Dipartimento Beni Culturali

i creativi culturail grande 17a44Dal giorno 11 al 17 luglio 2016, a Trevi (PG) si è tenuta una settimana-evento, organizzata dai professori Mauro Scardovelli (con la sua associazione Aleph) e Marco Guzzi (con la sua associazione Darsi Pace): un convegno dal titolo “L'Insurrezione Della Nuova Umanità”, dedicato all'analisi dal punto di vista psicologico, sociale ed economico della situazione attuale della società contemporanea e allo sviluppo di possibili soluzioni concrete alle molte criticità che sono state sollevate, circa il presente in cui viviamo e naturalmente, in previsione dell'immediato futuro.Questa intensa settimana di lavoro e di confronto, anche serale, ha visto la partecipazione di molti relatori, tra cui cito, tra gli altri, il prof. Nino Galloni, il sociologo Enrico Cheli, il filosofo Roberto Mancini, la dottoressa Giuliana Mieli, l'avvocato Marco Mori e in collegamento dall'Australia, l'antropologa Helena Norberg Hodge, etc.

Si tratta di un'iniziativa arrivata al culmine di una serie di altre conferenze e convegni minori organizzati sempre dai summenzionati proff. nel corso del 2015 e della prima parte del 2016 ed è stata ottimamente partecipata (circa 300 persone, oltre ai relatori) considerato il periodo e la particolarità dell'evento.

Fortunatamente gli interventi dei vari relatori sono disponibili in forma pressoché integrale su YouTube, presso il canale di Mauro Scardovelli, tuttavia avendo potuto partecipare attivamente, ho ritenuto di evidenziare in particolare un intervento, che, a mio parere, rappresenta il punto, il fulcro di quanto di più urgente ci sia da fare, da parte di chi intenda non arrendersi, non accettare passivamente una società divenuta così patogena da porre come requisito preferenziale per ottenere un posto di lavoro come trader [operatore finanziario] a Wall Street, il fatto di avere un lieve “danno mentale”, in modo da essere meno empatici possibili verso le conseguenze delle proprie decisioni (informazione tratta da un articolo del Wall Street Journal). La tesi di fondo che ha sotteso tutti gli interventi durante il convegno è in effetti quella della necessaria acquisizione, da parte del maggior numero possibile di persone, di una nuova consapevolezza: occorre cioè un cambiamento antropologico che implica un lavoro sulla coscienza dell'essere umano. Il polo ego-centrato della coscienza è quindi uno stato che va rovesciato perché è quella la fonte dei problemi, in ultima analisi. Non si tratta però di auspicare a un ritorno a modelli precedenti di società, da alcuni ritenuti migliori; non sarebbe la soluzione perché condurrebbe fatalmente al ripresentarsi dei problemi attuali. Si tratta invece di ambire a un nuovo obiettivo comune, che è appunto nuovo, che sarà il risultato del confronto tra le varie posizioni e qui si pone la questione di fondo a cui accennavo: il prof. Enrico Cheli, ha approfondito nel suo intervento proprio il punto a mio avviso più cruciale: quali sono i motivi della non aggregazione dei gruppi che hanno cose e obiettivi in comune, in questo percorso di modifica dello status-quo, verso la Nuova Umanità, più consapevole e in grado di non commettere gli stessi errori del passato?

Nel suo libro I Creativi Culturali (2009, Xenia Edizioni), il prof. Cheli riporta i risultati di una ricerca sociologica svolta da lui e da suoi collaboratori in Italia, omologa di un'altra ricerca svolta negli USA dal sociologo Paul H. Ray, in merito a quante siano di fatto le persone che si identificano con questa cultura emergente di dissidenza rispetto ai modelli di sviluppo che ci hanno accompagnato fino ad oggi e di maggiore consapevolezza di sé e del proprio ruolo di responsabilità, per il futuro dell'umanità. Attraverso le risposte di un nutrito campione statistico, il prof. Cheli ha così stabilito che il 34% della popolazione italiana compresa tra i 18 e i 60 anni, rientra nella definizione di creativi culturali, con la quale, sempre sulla falsariga della ricerca di Paul Ray, sono chiamati coloro che, seppur in gradi diversi, hanno acquisito quella consapevolezza di cui sopra, coloro cioè che si sono resi conto della necessità di un cambiamento antropologico e che, per conseguenza di ciò, hanno iniziato ad agire su loro stessi e sulla realtà che li circonda, dando così un seguito concreto alla presa di coscienza in atto. È interessante notare che la percezione di chi ha tale consapevolezza è di sentirsi spesso isolato: in altre parole, i creativi culturali credono di essere molto meno di quanti sono in realtà. La disgregazione di chi la pensa allo stesso modo su temi quali necessità di cambiamenti radicali nella società, nell'economia, nella gestione dell'ambiente etc. etc. è determinata dall'assenza quasi completa di questi temi sui mass media. Non a caso il prof. Cheli scrisse quindici anni fa un libro (Come Difendersi Dai Media, 2011, La Lepre Edizioni) che ha trovato pubblicazione solo cinque anni fa, il che fa capire bene come sia difficile anche solo ottenere qualche minima occasione di visibilità, per parlare di certi argomenti.

Ognuno di noi, quindi, si percepisce isolato e non collabora. La maggiore consapevolezza dei creativi culturali, inoltre, porta anche qualche svantaggio. Questo percorso di acquisizione di consapevolezza ha varie tappe e crea divisione tra chi si è “risvegliato” a livelli diversi, perché ancora non si ha una visione profonda del disegno finale comune e quindi spesso ci si divide nel proprio particolare. Un vero cambiamento comprende tutte le sfumature e le persone “con mezzo occhio aperto” inizialmente fanno fatica a collaborare perché appena aperto mezzo occhio si sentono un po' perse. Il punto chiave per superare questo limite è la comunicazione e la gestione delle comunicazioni. Per trovare accordo serve attuare un relativismo della propria percezione, foriero di buona fede e volontà di non prevalere sull'altro. Si può convenire che sia più facile mettersi d'accordo su ciò che non vogliamo, effettivamente, ma anche sul fatto che serva, in generale, una consapevolezza più ampia. Da qui può partire questo stato dell'io, non bellicoso, non ego-centrato, dal quale può scaturire un nuovo stato di unione.

Molto ci sarebbe da dire ancora, in quanto con questo breve excursus, non ho che sfiorato quanto è stato detto in una sola delle mattinate di tutto il convegno, tuttavia ho scelto di sviluppare questo punto perché a mio modo di vedere, la cosa più urgente da fare, quella nella quale il sottoscritto cerca di dare il suo contributo attivo, è proprio unire il fronte dissidente, perché “il nemico”, cioè chi invece persegue e vuole rimanere in questo status-quo, ha molta più facilità a fare squadra in quanto si unisce su un punto molto più facile da capire per chiunque: soldi e potere. Volendo immaginare una sorta di appello a formare una squadra, nel momento in cui uno si rende conto che in due si possono fare più soldi assieme della somma di quanti ognuno ne possa fare singolarmente (o si può ottenere più potere), ecco che la squadra potrà contare facilmente su molti elementi, aggregati appunto su delle basi facili da capire e su risultati rapidamente ottenibili. Per questo è più facile che “la squadra avversaria” sia unita e coesa e per questo la cosa più urgente è compattare una squadra altrettanto numerosa, un fronte opposto, ora disperso in molte associazioni, movimenti e organizzazioni sparse. Il mio auspicio personale è che il Movimento Roosevelt possa contribuire a catalizzare tutte le forze di questo fronte dissidente, facendosi protagonista di questa “Insurrezione della Nuova Umanità”.

“L'individuo, da solo, non ha senso. Nessuno vive isolato ma ciascun uomo acquista senso e valore nel rapporto con gli altri uomini. L'uomo non è, in definitiva, che un centro di rapporti sociali e dalla pienezza e dalla complessità dei nostri rapporti, l'uomo può trovare senso e valore. La Repubblica, espressione della vita collettiva, trae il suo senso e il suo significato solo dalla partecipazione effettiva di tutti, di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Vogliamo fare la Repubblica, uno Stato in cui ciascuno, appunto, partecipa attivamente per la propria opera, per la propria partecipazione effettiva alla vita di tutti. E questa partecipazione, questa attività, questa funzione collettiva, è appunto il lavoro.” (cit. Lelio Basso, estratto dai lavori dell'Assemblea Costituente).

Intervento di Enrico Cheli al convegno: